Le pandemie passano alla storia per numero di vittime, non di contagi
7 Aprile 2021
A seguito della manifestazione dei ristoratori in piazza Montecitorio tenutasi ieri, nella quale era prevedibile che volassero parole forti e qualche schiaffone, ho voluto rielaborare qualche dato come facevamo l’anno scorso – in lungimirante previsione – su LINEA.
A più di un anno dalla prima chiusura si può esaminare l’andamento medio, tra picchi e cadute, della progressione “pandemica”, virgolette d’obbligo, sempre con rispetto per i morti e i loro parenti e alla ricerca delle reali motivazioni dei decessi.
Possiamo vedere dai valori dei dati forniti dalla Protezione Civile ieri sera che l’incidenza sulla popolazione italiana non è affatto di tipo “pandemico”. Gli attuali positivi ammontano allo 0,93% della medesima, i guariti al 5,03% su un totale casi che si attesta sul 6,14%, mentre i casi di decesso riguardano “soltanto” (sempre con rispetto) lo 0,19%.
E ancora, gli attuali positivi sono il 15,07% del totale dei casi, i guariti l’81,9% e i deceduti tra i contagiati finora sono il 3,03%.
Stando alla citata progressione, al dato acquisito e all’andamento verificato, è ipotesi stimabile che tra gli attuali positivi ne moriranno (purtroppo e senza una cura acclarata e definitiva) circa ancora 17mila, ne guariranno oltre 450mila e i positivi si attesteranno su circa 100 mila casi, qualora le misure dovessero rivelarsi adeguate, ovviamente, ripeto: è un’ipotesi.
Ma lascio la parola al grafico esplicativo e alle vostre conclusioni, ma prima ribadisco: un virus può causare decessi, una “cura” non può e non deve causarne, né diretti, né indotti da crisi economica grave. E chi vuole far partire l’inquisizione verso chi ha più che legittimi dubbi deve (DEVE) essere inquisito per primo.
La Spagnola uccise tra i 500mila accertati e un milione stimato di italiani (allora era difficile un censimento affidabile). Ma la popolazione italiana, cento anni fa, contava circa la metà dei cittadini di oggi.
Per affiancare le due epidemie come mortalità sulla popolazione e come letalità sui contagi, pertanto, i decessi dovrebbero attestarsi tra uno o due milioni di persone su sessanta milioni. Ovviamente auspichiamo che non avvenga, ma se cento anni fa, per scarsità di mezzi tecnologici, la stima era per difetto, oggi ci si chiede perché il dato disponibile non possa essere più affidabile. Domande
Perché continuare ad evocarla?
Forse perché non è ancora finita? No, in effetti non lo è.
A qualcuno serve che non finisca?
Carlo Pompei
Science ‘smonta’ lockdown, Covid quando finirà? “10-20 anni se non riapriamo tutto”
7 Aprile 2021
Niccolò Magnani da Sussidiario.net
Lo studio di “Science” che smonta lockdown e chiusure per contrastare il Covid: “finirà tra 10-20 anni se non lo facciamo circolare più velocemente”
Uno studio del 12 febbraio scorso partorito dalla autorevole rivista scientifica “Science” manda un durissimo “messaggio” ai Governi e alle autorità sanitarie: «se continuano i lockdown il Covid-19 potrebbe rimanere tra noi ancora 10-20 anni». Il tema è dunque tanto sanitario quanto politico: la pandemia e il suo perdurare dipende «dalle nostre capacità di far diventare il virus endemico», sminuendo la forza virulenta purtroppo come attualmente è ancora. Sono in particolare due scienziati – Jennie S. Lavine del Dipartimento di Biologia della Emory University, Atlanta (Usa) e Ottar N. Bjornstad del Dipartimento di Biologia e del Centro Dinamica delle malattie infettive dell’Università dello Stato della Pennsylvania – che hanno sviluppato lo studio suffragata un anno di dati raccolti e intitolato “Immunological characteristics govern the transition of COVID-19 to endemicity”.
Il report, ripreso da Affari Italiani e Il Giornale, sostiene che il Covid sia ormai così diffuso che resta quasi impossibile l’eliminazione diretta del virus: siamo dunque condannati a convivere chiusi in casa con mascherine per il resto dei nostri giorni? Tutt’altro, e qui viene il bello e il sorprendente dello studio scientifico di “Science”.
LE CONCLUSUONI DI ‘SCIENCE’ CONTRO IL LOCKDOWN
L’essere umano da tempo immemore convive con altri coronavirus ormai divenuti endemici (come l’influenza, ad esempio) e che seppur infettano ancora non provocano più gravi malattie essendo stati indeboliti nella loro aggressività avendo ormai come rapporto di mortalità per infezione (IFR) pari allo 0,001. Nello studio di “Science” si sostiene come il coronavirus circolerà velocemente – con R0=6 – e dunque tanto più in fretta potrà essere reso endemico e non più pandemicamente letale: se si continua però a limitarne la diffusione, serviranno almeno 10 o 20 anni per uscire da questa situazione. «L’immunità che blocca le infezioni diminuisce rapidamente ma che l’immunità che riduce la malattia è di lunga durata», spiegano gli scienziati nelle conclusioni dell’importante report sul Covid-19.
Serve dunque agire con strategie diverse da quelle riscontrate finora e dimostratisi inefficaci (lockdown e chiusure a macchia di leopardo): «affinché la maggior parte delle persone venga infettata così presto nella vita, persino più giovane del morbillo nell’era pre-vaccino, il tasso di attacco deve superare la trasmissione dalle sole infezioni primarie», ribadisce Science. Di fatto, concludono i due scienziati, «una volta che i dati demografici dell’infezione raggiungono uno stato stazionario, il nostro modello prevede che i casi primari si verifichino quasi interamente nei neonati e nei bambini piccoli, che, nel caso di Covid-19, sperimentano un CFR basso e un IFR contemporaneamente basso».
Sembra un controsenso, ma la conclusione è proprio questa: per ridurre il Covid-19 va fatto circolare il più rapidamente possibile, «se è necessario un frequente potenziamento dell’immunità mediante la circolazione virale in corso per mantenere la protezione dalla patologia, allora potrebbe essere meglio che il vaccino imiti l’immunità naturale nella misura in cui previene la patologia senza bloccare la circolazione del virus in corso».
Da ultimo, Science sottolinea come in questo particolare coronavirus, il vaccino che risulta il principale per efficacia è quello a base di adenovirus – ovvero AstraZeneca – perché «è migliore nel prevenire infezioni gravi rispetto a quelle lievi o asintomatiche, e sarà importante produrre tecnologie simili per gli altri vaccini».
(N.d.r.)
Non vinceranno
7 Aprile 2021
Dal Blog Vitamineral il libero pensare è di casa ed ospito tutti i liberi pensatori.
Oggi, dopo una settimana di limitazioni del mio profilo su facebook, sono ritornata con pensieri e riflessioni.
Corrado Malanga)
Internet, per quanto provino ad oscurare e censurare le notizie, sarà per loro un effetto boomerang.
Vinceremo su tutti fronti!
E lo dico con la consapevolezza che le vittime purtroppo ci saranno, primo tra i vaccinati, secondo tra le persone con criticità patologiche.
Notizia che, certamente nessuno leggerà essendo soppiantata dalla psicosi della “variante inglese” del Sars-Cov-2 e dalle polemiche contro il ministro Roberto Speranza che, il 14 febbraio, ha inaspettatamente decretato la chiusura degli impianti sciistici. A proposito, ma sulla base di quale documentazione scientifica Speranza ha cambiato improvvisamente idea, considerando che fino a ieri praticamente tutti dicevano che questa famosa “variante inglese del virus” non rappresentava un nuovo pericolo?
Gli interventi non farmaceutici (NPI) più restrittivi per il controllo della diffusione del COVID‐19 sono la permanenza a domicilio e le chiusure aziendali. Date le conseguenze di queste politiche, è importante valutarne gli effetti. Valutiamo gli effetti sulla crescita dei casi epidemici di NPI più restrittivi (mrNPI), al di sopra e al di là di quelli di NPI meno restrittivi (lrNPI).
Metodi
Per prima cosa stimiamo la crescita del caso COVID-19 in relazione a qualsiasi implementazione di NPI nelle regioni subnazionali di 10 paesi: Inghilterra, Francia, Germania, Iran, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Corea del Sud, Svezia e Stati Uniti. Utilizzando modelli di prima differenza con effetti fissi, isoliamo gli effetti degli mrNPI sottraendo gli effetti combinati degli lrNPI e delle dinamiche epidemiche da tutti gli NPI.
Usiamo la crescita dei casi in Svezia e Corea del Sud, 2 paesi che non hanno implementato la permanenza a domicilio e le chiusure aziendali obbligatorie, come paesi di confronto per gli altri 8 paesi (16 confronti totali).
Risultati
Conclusioni
Sebbene non si possano escludere piccoli benefici, non troviamo benefici significativi sulla crescita dei casi di NPI più restrittivi. Riduzioni simili nella crescita del caso possono essere ottenute con interventi meno restrittivi.
1. INTRODUZIONE
1
9 abusi domestici, 10 la salute mentale e la suicidalità, 11 , 12 e una serie di conseguenze economiche con implicazioni per la salute 13 , 14—È sempre più riconosciuto che i loro benefici postulati meritano uno studio attento. Un approccio per valutare i benefici dell’NPI utilizza approcci di modellizzazione della malattia. Un’importante analisi di modellazione ha stimato che, in tutta Europa, gli mrNPI rappresentavano l’81% della riduzione del numero di riproduzioni effettive ( ), una misura della trasmissione della malattia. 15 Tuttavia, in assenza di una valutazione empirica delle politiche, i loro effetti sulla trasmissione ridotta si presume piuttosto che valutati. 16 , 17 Tale analisi attribuisce quasi tutta la riduzione della trasmissione all’ultimo intervento, qualunque sia stato l’ultimo intervento, i blocchi completi in Francia o il divieto di eventi pubblici in Svezia. 16
19, 20 Queste dinamiche epidemiche sono dimostrate da un’analisi che mostra che il rallentamento della crescita epidemica di COVID-19 era simile in molti contesti, in un modo più coerente con le dinamiche naturali rispetto alle prescrizioni politiche. 21
22 , 23 Anche la Corea del Sud non ha implementato gli mrNPI. La sua strategia si basava su investimenti intensivi in test, tracciamento dei contatti e isolamento dei casi infetti e contatti stretti. 24 , 25
2 – METODI
18 , 26 Utilizziamo i dati di una banca dati delle politiche COVID ‐ 19 e le precedenti analisi degli impatti delle politiche per determinare la tempistica e l’ubicazione di ciascun NPI. 18 , 27Ogni osservazione nei dati, poi, è identificata dalla regione amministrativa subnazionale e dalla data, con i dati sul numero di casi in quella data e gli indicatori che caratterizzano la presenza di ciascuna politica. Includiamo indicatori per i cambiamenti nelle definizioni dei casi o nelle tecnologie di test per catturare cambiamenti improvvisi nei conteggi dei casi che non sono il risultato dell’epidemia sottostante (questi sono per lo più indicatori di un giorno), come suggerito in un’analisi precedente. 18
Definiamo la variabile dipendente come la differenza giornaliera nel logaritmo naturale del numero di casi confermati, che approssima il tasso di crescita giornaliero delle infezioni ( ). Stimiamo quindi i seguenti modelli lineari:
è effetti fissi del giorno della settimana specifici del paese. I parametri di sono gli interessi , che identificano l’effetto di ciascuna politica sul tasso di crescita dei casi.Il parametro è un indicatore giornaliero che modella i cambiamenti nelle definizioni dei casi che si traducono in brevi discontinuità nei conteggi dei casi che non sono dovuti a cambiamenti epidemici sottostanti.
28 Invece, seguiamo altri studi che valutano gli effetti degli NPI che utilizzano numeri di casi, assumendo implicitamente che le loro dinamiche osservate possano rappresentare un’ombra coerente delle dinamiche di infezione sottostanti. 18
Materiale supplementare ).
3. RISULTATI
1 ). La figura mostra che, in tutte le unità subnazionali in tutti i dieci paesi, il tasso di crescita medio prima degli NPI variava da 0,23 in Spagna (23% di crescita giornaliera; 95% CI: da 0,13 a 0,34) a 0,47 (95% CI: da 0,39 a 0,55 ) In Olanda. La media in tutti i 10 paesi era 0,32, e in Corea del Sud e Svezia, i 2 paesi senza mrNPI, i tassi di crescita pre ‐ NPI erano rispettivamente 0,25 e 0,33. La variazione dei tassi di crescita pre ‐ policy nei casi può riflettere l’intensità dell’epidemia, la copertura dei test (una crescita maggiore può essere un riflesso dell’espansione della capacità di test e di più persone che desiderano essere testate) e cambiamenti del comportamento pre ‐ policy che hanno portato a una maggiore o minore trasmissione .