L’anemia può avere diverse origini, ma quando è risultata una carenza di Ferro, i medici che lo rilevano, corrono subito a prescrivere integratori di ferro per os. Diversi gli studi lo definiscono inutile oltre che dannoso ed avevamo già affrontato l’argomento in questo articolo.
Abbiamo inoltre indicato quali altri elementi naturali sarebbero più coinvolti nell’assorbimento di ferro: Vitamina D, Vitamina C, Vitamina A, Vitamina B12 e B6.
Oggi approfondiremo l’importanza delle integrazioni di Lattoferrina nelle anemie con carenza di ferro, con la presentazione di uno studio, ed infine parleremo di cosa è l’Omeostasi del Ferro.
Lattoferrina
La lattoferrina, somministrata per via orale, contrasta la carenza di ferro 86:
- facilitando l’assorbimento del ferro nell’intestino,
- inibendo i processi infiammatori responsabili di anemia delle malattie croniche.
Secondo una meta-analisi di 4 studi clinici su 600 donne gravide, la lattoferrina bovina orale è efficace quanto il solfato ferroso (un comune integratore di ferro) nel migliorare i parametri ematologici, ma presenta meno effetti collaterali a livello gastrointestinale.
La lattoferrina ha inoltre mostrato effetti migliori sui livelli di emoglobina nelle donne in gravidanza con anemia moderata, rispetto al solfato ferroso 87.
In uno studio su 16 podiste di lunga distanza, l’integrazione di lattoferrina e ferro per 8 settimane è risultata più efficace del ferro isolato nell’aumentare la conta dei globuli rossi e nel ridurre i livelli di acido lattico dopo una corsa di 3.000 metri 88.
CURIOSITA‘
- La Lattoferrina ha acquisito una certa notorietà nel 2020 grazie ad uno studio sul Covid-19 e lattoferrina: ricerca condotta dalle Università di Tor Vergata e La Sapienza. Nuovi dati a conferma che la molecola è in grado di contenere gli effetti del virus. Vedi l’articolo
- Leggi anche Ruolo della Lattoferrina nelle infezioni virali
Riporto ora lo studio che sembra essere il più significatico sulla Lattoferrina a cura della Prof.ssa Piera Valenti
PREMESSE dello studio
È noto, e risulta anche dal rapporto del V Programma quadro dell’UE (www.rowett.ac.uk/femmes), come somministrazioni di ferro elementare maggiori di 60-100 mg/die aumentino gli effetti indesiderati quali irritabilità gastrica (crampi, nausea, vomito) e disturbi intestinali (dolori, costipazione e diarrea). Mentre i primi sembrano essere associati ad irritazione delle mucose e ad un’alterata motilità intestinale, dipendenti dalla disponibilità di ferro libero nel lume gastroenterico (36), i disturbi intestinali potrebbero correlarsi alle variazioni della flora batterica intestinale indotte dalla presenza del ferro.
Studi recenti in donne in gravidanza affette da ipoferremia e anemia da carenza di ferro hanno mostrato, dopo 30 giorni di somministrazione per os di solfato ferroso (520 mg/die), un aumento clinicamente non significativo dei valori dell’emoglobina e del numero dei globuli rossi, e valori invariati del ferro serico totale e della ferritina serica (37, 38).
Dai dati di letteratura appare chiaro che la terapia con solfato ferroso presenta ancora alcune importanti problematiche.
Per ottenere risultati clinicamente accettabili nel trattamento della ipoferremia e dell’anemia da carenza di ferro, peraltro limitati al solo incremento della concentrazione dei globuli rossi e dell’emoglobina (37), si è indotti a somministrarne un’alta dose giornaliera, che comporta un accumulo di ferro a livello enterico e conseguentemente un aumento degli effetti indesiderati a livello gastrointestinale quali costipazione, diarrea, nausea e vomito.
Prof. Piera Valenti
Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Sapienza Università di Roma
Riassunto
Il ferro è un elemento essenziale per gli esseri viventi. Il ferro corporeo, circa 3 g nelle donne e 4 g nell’uomo, è prevalentemente incorporato nell’eme dell’emoglobina, della mioglobina e dei citocromi (2-2,7 g).
Nel midollo ogni giorno 20 mg di ferro, derivanti dalla lisi degli eritrociti senescenti, sono utilizzati per la sintesi dell’eme dei nuovi eritrociti.
La riserva di ferro non-emico nelle cellule e nel sangue è garantita dalla ferritina, capace di sequestrare più di 4500 atomi di ferro per molecola.
Nel mondo, ancora oggi, la carenza di ferro continua ad essere il maggiore disordine da deficit nutrizionale che affligge due miliardi di persone. Questa carenza nutrizionale è stata identificata dall’organizzazione mondiale della sanità come uno dei dieci fattori di rischio per malattie, disabilità e morte nel mondo.
In particolare, la carenza di ferro diventa un serio problema in gravidanza, in quanto contribuisce significativamente ad incrementare i rischi per la madre (parto prematuro e mortalità) e per il neonato (basso peso alla nascita e ritardo mentale).
http://win.mnlpublimed.com/public/0817A04.pdf
LA LATTOFERRINA: UN TRATTAMENTO EFFICACE NELLA PREVENZIONE E CURA DELL’IPOFERREMIA E ANEMIA DA CARENZA DI FERRO IN DONNE IN GRAVIDANZA
LEGGI LO STUDIO
La lattoferrina, una glicoproteina naturale appartenente alla famiglia delle transferrine, è sintetizzata dalle ghiandole esocrine e dai neutrofili nei siti di infezione e d’infiammazione.
È presente in tutte le secrezioni umane quali lacrime, saliva, liquido seminale, secrezioni vaginali, latte materno e colostro dove raggiunge la massima concentrazione (12 mg/ml) (39).
Come la transferrina, la lattoferrina è una proteina bilobata contenente un sito di captazione dello ione ferrico in ogni lobo, in grado quindi di chelare con alta affinità due ioni ferrici per molecola (40) (Figura 3).
In vivo, come già riportato, la concentrazione di ioni ferrici liberi non deve eccedere 10-18 M, sia per evitare la formazione delle specie reattive dell’ossigeno, che impedire lo sviluppo dei microorganismi che necessitano di ferro per la loro moltiplicazione. Nelle secrezioni, l’assenza di ferro disponibile è garantito dalla lattoferrina, mentre nel siero dalla transferrina.
In vivo, in situazioni fisiologiche, la lattoferrina è satura in ferro solo al 20% e pertanto è in grado di legare ancora ioni ferrici. In particolari situazioni patologiche (sanguinamento, danno cellulare, mancato trasporto del ferro dai tessuti al circolo, ecc.) la concentrazione di ferro disponibile nelle secrezioni o nei tessuti aumenta e la lattoferrina, chelando l’eccesso di ferro libero, impedisce la formazione delle specie reattive dell’ossigeno e diminuisce la suscettibilità dell’ospite alle infezioni.
Tuttavia, in alcune situazioni, la quantità di ferro è così elevata da rimanere ancora disponibile dopo la saturazione della lattoferrina.
L’eccesso di ferro disponibile attiva un processo infiammatorio che richiama i neutrofili che, secernendo lattoferrina, contribuiscono a diminuire la concentrazione di ferro libero nel sito d’infezione/infiammazione (39).
Per questo, storicamente, la lattoferrina è ritenuta svolgere un’azione antimicrobica (3).
Recentemente, le nuove acquisizioni sui meccanismi dell’omeostasi del ferro fanno supporre un ruolo chiave della lattoferrina nel ripristino della funzione della ferroportina attraverso la modulazione della sintesi dell’epcidina e quindi, in ultima analisi, un ruolo diretto di lattoferrina nella regolazione della disponibilità sistemica di ferro (41, 42).
Assunta per via orale, preferibilmente lontano dai pasti per evitare la sua degradazione a causa dell’elevata acidità gastrica, la lattoferrina raggiunge integra il duodeno in quantità pari a circa l’80% della dose somministrata. La lattoferrina viene quindi assorbita negli enterociti grazie a specifici recettori (43), per poi raggiungere il nucleo (44), dove modula con efficacia i fattori chiave dell’omeostasi sistemica del ferro.
La lattoferrina, inoltre, non è immessa nel circolo sanguigno, dove la sua concentrazione rimane bassa (<1 µg/ml) come in condizioni fisiologiche (45).
La lattoferrina, pertanto, potrebbe rappresentare una valida alternativa terapeutica agli attuali trattamenti di supplementazione di ferro in stati di ipoferremia ed anemia da carenza di ferro.
A tal fine è stato condotto un trial clinico per paragonare l’efficacia della somministrazione di solfato ferroso (520 mg/die) con quella della lattoferrina (100 mg 2 volte al die, lontano dai pasti), in donne in gravidanza affette da ipoferremia ed anemia (37).
Di seguito viene riportato lo schema del trial clinico eseguito.
- Criteri d’inclusione: donne in gravidanza di età compresa tra 20 e 39 anni affette da carenza di ferro (ipoferremia) e anemia, senza altre maggiori patologie concomitanti.
- Criteri d’esclusione: donne con gravidanze patologiche.
L’ipoferremia e l’anemia sono state definite da:
- una concentrazione di ferro serico totale corrispondente a 30 µg/dl o meno
- una concentrazione di emoglobina corrispondente a 11 g/dl o meno
Soggetti: 259 donne di differente parità e trimestre di gravidanza erano divise random in tre gruppi.
- Gruppo A: 54 donne che rifiutavano ogni tipo di supplementazione di ferro sono state incluse nello studio e considerate come gruppo di controllo
- Gruppo B: 98 donne trattate con 520 mg di solfato ferroso al die
- Gruppo C: 107 donne trattate per os con 1 capsula contenente 100 mg di lattoferrina, due volte al die lontano dai pasti.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che nelle donne trattate per 30 giorni con la lattoferrina i valori dell’emoglobina, ma soprattutto quelli del ferro serico totale, aumentavano in modo significativo (p<0.001) rispetto a quelli delle donne trattate con solfato ferroso, nonostante le pazienti trattate con solfato ferroso ricevessero giornalmente una concentrazione in ioni ferro (156 mg/die) maggiore rispetto a quella con lattoferrina (8,8 mg/die) (37).
Ovviamente, nelle donne che rifiutavano la terapia si assisteva ad una diminuzione sia dei valori dell’emoglobina sia di quelli del ferro serico totale, in misura maggiore con il procedere della gravidanza. Nella Tabella IV è riportata una sintesi dei dati ottenuti.
I risultati ottenuti mostrano chiaramente la maggiore efficacia della lattoferrina rispetto alla classica terapia marziale nel ripristino dei valori ematici.
Va sottolineato che la maggior efficacia non può essere attribuita alla quantità di ferro totale somministrata con la lattoferrina (8,8 mg/die), circa venti volte inferiore a quella somministrata con solfato ferroso (154 mg/die), ma a più complesse funzioni della proteina. La maggior efficacia della lattoferrina è attribuibile alla modulazione della funzione della ferroportina, fondamentale nel trasporto del ferro dai tessuti al circolo, trasporto altrimenti inibito da elevate concentrazioni di epcidina (Paesano et al manoscritto in preparazione).
In donne in gravidanza a cui era stata somministrata la lattoferrina per os dal momento dell’insorgenza dell’ipoferremia e/o dell’anemia fino alla fine della gravidanza, si osservavano, al momento del parto, valori eccellenti sia per i globuli rossi, l’emoglobina, il ferro serico totale, la ferritina serica che per l’ematocrito, come riassunto nella Tabella V.
Come riportato, i valori ematici erano tali da non dover richiedere alcun intervento di supplementazione di ferro ed il peso del neonato alla nascita oscillava tra un valore medio di 3,6 Kg per i maschi e di 3,3 Kg per le femmine.
È importante sottolineare che durante tutto il periodo di somministrazione, in donne a cui veniva somministrata per os lattoferrina 100 mg due volte al giorno lontano dai pasti, non sono mai stati evidenziati effetti collaterali.
LE CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
La carenza di ferro e l’anemia da carenza di ferro, continua ad essere uno dei dieci fattori di rischio per malattie, disabilità e morte nel mondo (The World Health Report 2002). In particolare, la carenza di ferro, oltre ad avere un significativo impatto sullo stato di salute degli individui, diventa un serio problema in gravidanza, contribuendo significativamente ad incrementare i rischi per la madre e per il neonato.
Il deficit di ferro è diffuso in soggetti di ogni età, sesso e classe socioeconomica, ma in particolare durante la gravidanza la richiesta di questo elemento aumenta a causa dell’espansione della massa dei globuli rossi materni e della crescita dell’unità feto-placentare.
La supplementazione di ferro in gravidanza ingenera molteplici dubbi, in quanto a discreti risultati in termini di efficacia, è molto spesso associato un quadro di scarsa tollerabilità che ne compromette la “compliance” e conseguentemente il risultato terapeutico.
Le nuove conoscenze sui complessi meccanismi dell’omeostasi cellulare e sistemica del ferro hanno stimolato la ricerca di nuovi composti in grado di modulare la concentrazione di ferro nei tessuti e nel circolo.
La Lattoferrina, molecola naturale appartenente alla famiglia delle transferrine, prodotta dalle ghiandole esocrine e dai neutrofili di numerose specie animali, da tempo conosciuta ed utilizzata quale integratore nel latte materno artificiale, ha clinicamente dimostrato di interagire positivamente con l’omeostasi sistemica del ferro.
Dai risultati ottenuti nei vari trials clinici possiamo affermare che la lattoferrina, somministrata per os alla posologia di 100 mg due volte al giorno in donne in gravidanza affette da ipoferremia e anemia da carenza di ferro, ripristina in modo significativo (p<0.001) il numero dei globuli rossi, i valori dell’emoglobina, del ferro serico totale e della ferritina sierica, con un meccanismo d’azione verosimilmente indipendentemente dalla quantità di ferro (8,8 mg) che ogni giorno viene somministrato.
Suddetta quantità, circa venti volte inferiore a quella somministrata con solfato ferroso (154 mg/die), può infatti essere responsabile solo in parte del potente effetto della lattoferrina.
È ipotizzabile che tale attività sia ascrivibile ad un meccanismo di tipo inibitorio sulla produzione di epcidina con conseguente modulazione della espressione della ferroportina, unica molecola, ad oggi conosciuta, in grado di trasportare il ferro dagli enterociti e dai macrofagi al sangue.
La maggiore efficacia della lattoferrina si traduce clinicamente in un significativo aumento e normalizzazione dei parametri ematici legati alla condizione di ipoferremia ed anemia, quali il numero dei globuli rossi, la concentrazione dell’emoglobina, del ferro serico totale e della ferritina serica.
La peculiarità di questa terapia, basata sulla somministrazione orale di una proteina naturale, è rappresentata anche dal vantaggio non trascurabile di un profilo di tollerabilità eccellente, condizione primaria per una perfetta adesione al trattamento dell’ipoferremia e dell’anemia, soprattutto nelle gestanti.
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OMEOSTASI DEL FERRO
OMEOSTASI DEL FERRO
Molti prodotti di supplementazione del ferro, sia farmaceutici sia neutraceutici attualmente in commercio, vengono indicati come utili al ripristino dell’omeostasi del ferro. Tale sommaria indicazione genera spesso confusione in quanto non viene mai indicato su quale tappa del complesso meccanismo dell’omeostasi del ferro agiscano tali prodotti.
La descrizione della regolazione cellulare e sistemica dell’omeostasi del ferro può fornire elementi per un valido giudizio sui prodotti più efficaci nella risoluzione della carenza di ferro e dell’anemia da carenza di ferro.
REGOLAZIONE CELLULARE DELL’OMEOSTASI DEL FERRO
Acquisizione cellulare del ferro
Il ferro è un elemento essenziale per tutti gli esseri viventi e di conseguenza per tutte le cellule.
Il ferro viene acquisito dalle cellule di tutti i tessuti tramite la formazione e la successiva endocitosi del complesso tra la transferrina satura in ferro ed il suo specifico recettore (1). Una volta rilasciato dalla vescicola endocitica, il ferro viene sequestrato all’interno della cellula dalla ferritina, che può accumulare fino a 4500 ioni ferrici per molecola.
Acquisizione del ferro dagli enterociti
Negli enterociti, specifiche proteine transmembrana mediano l’acquisizione del ferro in forma emica e non-emica dal lume intestinale (6). Anche se il trasporto del ferro come eme è meno conosciuto, all’interno degli enterociti il ferro rilasciato dall’eme, grazie ad un’ossigenasi, segue lo stesso percorso di quello non-emico. Il ferro nonemico introdotto con la dieta è primariamente ridotto a ione ferroso e poi accumulato, come già descritto per le altre cellule, nella ferritina intracellulare (7) (Figura 1).
Escrezione del ferro dalle cellule
Anche se nell’epatocita, nel monocita, nel macrofago e nella cellula emopoietica esistono sistemi di acquisizione del ferro differenti da quelli dell’enterocita, ad oggi si conosce una sola proteina in grado di esportare il ferro dalle cellule al circolo: la ferroportina.
La ferroportina è presente in tutte le cellule coinvolte nell’export del ferro, inclusi gli enterociti, gli epatociti, i macrofagi e le cellule della placenta (8-10) (Figura 1 e Figura 2).
Carenza o sovraccarico di ferro nelle cellule
Occorre ricordare che circa ¼ del ferro corporeo, pari a 0,5-1 g, è accumulato negli epatociti e nei macrofagi come riserva per l’eritropoiesi. Le cellule, in situazioni patologiche, possono trovarsi in carenza o in eccesso di ferro.
Stati di carenza di ferro sono associati ad una bassa concentrazione di ferritina intracellulare e ad un aumento dei recettori della transferrina e clinicamente si traducono in un’anemia da carenza di ferro.
Il sovraccarico di ferro invece si può sviluppare quando il suo assorbimento, sia attraverso la dieta sia per supplementazione farmacologica, eccede l’utilizzazione o l’escrezione per esfoliazione degli epiteli. Questi stati sono bilanciati da un aumento della concentrazione della ferritina intracellulare e da una diminuita espressione dei recettori della transferrina soprattutto nel fegato, che è conosciuto da tempo essere il più importante organo di riserva del ferro. Inoltre, anche mutazioni della ferroportina conducono a stati di sovraccarico di ferro nel parenchima tessutale del fegato e di altri organi come cuore, pancreas e ghiandola pituitaria (11, 12).
Il sovraccarico di ferro libero, non legato a specifici ligandi, è dannoso per l’ospite in quanto induce un aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno ed incrementa la suscettibilità alle infezioni (3).
REGOLAZIONE SISTEMICA DELL’OMEOSTASI DEL FERRO
Il controllo sistemico del ferro avviene attraverso la regolazione della sua acquisizione con la dieta. Un’eccessiva esposizione ad elevate dosi di ferro induce un blocco dell’assorbimento (13, 14), mentre un incremento dell’assorbimento è osservato in risposta ad una inefficace eritropoiesi o ipossia.
Il trasporto del ferro dagli enterociti al sangue avviene attraverso la ferroportina (15), come schematizzato nella Figura 2. Nel sangue, il ferro viene complessato dalla transferrina e trasportato sia al fegato che al tessuto eritropoietico, dove viene incorporato nell’eme, che rappresenta il più grande pool di ferro nell’uomo.
Gli eritrociti senescenti (120 giorni di vita) vengono fagocitati dai macrofagi che immagazzinano il ferro o lo rilasciano nel sangue sempre via ferroportina, secondo il fabbisogno (Figura 2).
L’assorbimento del ferro da parte degli enterociti ed il suo riciclo da parte dei macrofagi sono quindi due fasi fondamentali ed altamente regolate che, se rese nulle o danneggiate per molteplici cause, portano ad un difetto nell’omeostasi del ferro.
In particolare, uno stato di ipoferremia può essere associato ad un sovraccarico di ferro principalmente nel fegato (16) e nei macrofagi (15). È stato dimostrato che negli epatociti il ferro modula la sintesi di un piccolo peptide, l’epcidina che, escreto nel sangue, svolge un ruolo chiave nell’omeostasi del ferro (10, 17, 18). Questo peptide, la cui sintesi è indotta anche da stati infiammatori, negli enterociti e nei macrofagi è in grado di legarsi alla ferroportina, che viene quindi internalizzata e degradata nelle cellule, rendendo così impossibile il trasporto del ferro dalle cellule al sangue (19, 20).
Ne consegue che l’incapacità degli enterociti e dei macrofagi di trasportare il ferro al sangue, a causa del legame tra la ferroportina e l’epcidina, può condurre a stati di carenza di ferro (21, 22).
Condizioni di ipossia, quali quelle che si possono verificare nei difetti di eritropoiesi, inducono invece una diminuzione dell’espressione dell’epcidina, e conseguentemente un aumento del trasporto del ferro dai tessuti al sangue (23).
Da quanto detto, si può dedurre che in stati di ipoferremia un’efficace terapia dovrebbe considerare anche la modulazione della espressione della ferroportina, unica proteina in grado di trasportare il ferro dai tessuti al circolo.
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Vitamineral non si assume responsabilità per la scelta degli integratori proposti eventualmente nell’articolo.