Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze

 

Giancarlo Isaia Professore di Geriatria, Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino

accademia.medicina@unito.it).
Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze
La pandemia da Coronavirus si è manifestata e diffusa con caratteristiche peculiari e, nonostante sia presente da circa un anno, la ricerca scientifica, orientata prevalentemente verso la sintesi di anticorpi specifici diretti sull’agente etiologico e la produzione di un vaccino, non ha fornito sufficienti conoscenze: poco si sa delle caratteristiche fisiopatologiche della malattia, dei meccanismi che ne favoriscono l’aggressione alla specie umana, dei target verso cui indirizzare un trattamento farmacologico, e, infine, neppure delle caratteristiche immunologiche del virus.
Tutto ciò rende molto problematiche le strategie difensive, ad oggi di fatto limitate alle indiscutibili e fondamentali misure di distanziamento fisico e di igiene individuale.
Sulla base di queste premesse, ci permettiamo di richiamare l’attenzione delle Istituzioni, del mondo scientifico e dell’opinione pubblica su un aspetto, già sollevato nei mesi scorsi (1) che si è via via accreditato con numerose evidenze scientifiche: ci riferiamo alla carenza di vitamina D, della quale sono noti da tempo gli effetti sulla risposta immunitaria, sia innata che adattiva (2) e che si sviluppa nei pazienti affetti da COVID-19 in conseguenza di differenti meccanismi fisiopatologici (3), ma forse anche a seguito di una ridotta disponibilità di 7-deidrocolesterolo e di conseguenza del suo metabolita colecalciferolo, per la marcata riduzione della colesterolemia osservata nei pazienti con forme moderate o severe di COVID-19 (4).
Ad oggi è possibile reperire su PubMed circa 300 lavori, editi nel 2020, con oggetto il legame tra COVID-19 e vitamina D, condotti sia retrospettivamente (5), che con metanalisi (6), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa (7) e di una più elevata mortalità (OR 3,87) ad essa associata (8): tutti questi dati forniscono a nostro giudizio interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D (9).
E’ stata infatti largamente evidenziata, con un’unica eccezione riportata in un lavoro, peraltro non ancora pubblicato e condotto su pazienti in uno stadio molto avanzato della malattia (10), l’utilità della somministrazione di Vitamina D (in prevalenza colecalciferolo) a pazienti COVID-19.
A scopo propositivo, abbiamo selezionato alcuni dati, ottenuti con adeguata sperimentazione clinica, che a nostro parere, nonostante alcuni limiti metodologici, sono degni di attenzione da parte delle autorità sanitarie, al fine di considerare l’utilizzo della Vitamina D sia per la prevenzione che per il trattamento dei pazienti COVID-19.
  • (11)
  • In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici, la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva, è stata del 2% (1/50) se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% (13/26) nei pazienti non trattati (12).
  • Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli circolanti di 25OHD (13)
  • In 77 soggetti anziani ospedalizzati per COVID-19, la probabilità di sopravvivenza alla malattia, stimata con la curva di Kaplan–Meier, è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente alla dose di 50.000 UI al mese, oppure di 80.000-100.000 UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80.000 UI al momento della diagnosi. (14)
  • Nei pazienti PCR-positivi per SARS-CoV-2, i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti PCR-negativi (dato poi confermato da altri lavori in termini di maggiore velocità di clearance virale e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D) (15).
  • In una sperimentazione clinica su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% (10/16) dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo (60.000 UI/die per 7 giorni), contro il 20,8% (5/24) dei pazienti del gruppo di controllo.
    Nei pazienti trattati è stata inoltre riscontrata una riduzione significativa dei livelli plasmatici di fibrinogeno (16)
Sulla base dei risultati di questi e di altri studi, formuliamo le seguenti considerazioni:
  • Anche se sono necessari ulteriori studi controllati, la vitamina D sembra più efficace contro il COVID-19 (sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione) se somministrata con obiettivi di prevenzione (17), soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati.
  • Il target plasmatico minimo ottimale del 25(OH)D da raggiungere in ambito PREVENTIVO sarebbe di 40 ng/mL (18), per ottenere il quale occorre somministrare elevate dosi di colecalciferolo, anche in relazione ai livelli basali del paziente, e fino a 4000 UI/die (19)
  • In ambito TERAPEUTICO, gli studi randomizzati indicano l’utilità di un’unica somministrazione in bolo di 80.000 UI di colecalciferolo (N° 4, Annweiler G et al.), oppure di calcifediolo (0,532 mg il 1° giorno, 0,266 mg il 3°, il 7° giorno e poi una volta alla settimana) (N° 2, Castillo ME et al.), oppure ancora di 60000 IU di colecalciferolo per 7 giorni, con l’obiettivo di raggiungere 50 ng/mL di 25 (OH)D (N° 6, Rastogi A et al.).
Nonostante questi ed altri dati, l’impiego della Vitamina D nella prevenzione e nella terapia del COVID-19 non è stato preso in considerazione, con la giustificazione dell’assenza di un’evidenza scientifica sufficiente, che invece, a differenza di altre vitamine o integratori, nei lavori più recenti sta a poco a poco emergendo.
In Gran Bretagna invece, e prima ancora in Scozia, con disposizione governativa (vedi notizia), è stata recentemente disposta la supplementazione di vitamina D a 2,7 milioni di soggetti a rischio di COVID-19 (gli anziani, la popolazione di colore e i residenti nelle RSA) con un’operazione che alla Camera dei Comuni è stata definita low-cost, zero-risk, potentially highly effective action” (azione a basso costo, a rischio zero e potenzialmente altamente efficace):
ne è seguito un vivace dibattito scientifico, con qualche riserva espressa dal NICE, ma con il sostegno della Royal Society of London che la definisce “…seems nothing to lose and potentially much to gain” (niente da perdere e potenzialmente molto da guadagnare)
In conclusione, anche se l’utilità della Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19 non è ancora del tutto ben definita, riteniamo che i dati che abbiamo sinteticamente riportato, suggeriscano un serio approfondimento in materia:
  • Con l’attivazione di una consensus conference e/o di uno studio clinico randomizzato e controllato, promosso e supportato dallo Stato, sull’efficacia terapeutica della Vitamina D, a pazienti sintomatici o oligosintomatici, secondo uno dei seguenti schemi:
      • Colecalciferolo per via orale 60.000 UI/die per 7 giorni consecutivi
      • Colecalciferolo in monosomministrazione orale 80.000 (nei pazienti anziani)
      • Calcifediolo 532 mg (106 gocce) nel giorno 1 e 0,266 mg (53 gocce) nei giorni 3
      • e poi in monosomministrazione settimanale.
  • (20), è comunque utile per correggere una situazione di specifica carenza generale della popolazione, soprattutto nel periodo invernale, indipendentemente dalla infezione da SARS-CoV-2.
A disposizione per ulteriori ragguagli, auspichiamo che questa nostra proposta, supportata da suggestive evidenze scientifiche, venga presa in seria considerazione e di conseguenza vengano assunti i provvedimenti ritenuti più opportuni,

Giancarlo Isaia Professore di Geriatria, Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino

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Riferimenti bibliografici

  1. Isaia G & Medico E, https//doi:10.1007/s40520-020-01650-9
  2. Charoenngam N & Holick M, https://doi.org/10.3390/nu12072097
  3. Aygun H et al., https://doi.org/10.1007/s00210-020-01911-4
  4. Marcello A. et al., https://doi.org/10.1016/j.redox.2020.101682
  5. Meltzer D et al., https://doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.19722
  6. Pereira M et al., https://doi.org/10.1080/10408398.2020.1841090
  7. Kohlmeier M et al., https://doi:10.1136/bmjnph-2020-000096
  8. De Smet D et al., https://doi:10.1093/ajcp/aqaa252
  9. Isaia G et al., https://doi.org/10.1007/s00198-003-1390-7)
  10. Murai IH et al., https://doi.org/10.1101/2020.11.16.20232397
  11. Jain A et al., https://doi.org/10.1038/s41598-020-77093-z
  12. Castillo ME et al., https://doi.org/10.1016/j.jsbmb.2020.105751
  13. Kaufman HW et al., https://doi.org/10.1371/journal.pone.0239252
  14. Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study https://doi.org/10.3390/nu12113377
  15. D’Avolio et al., https://doi.org/10.3390/nu12051359
  16. Rastogi A. et al., SHADE Study http://dx.doi.org/10.1136/postgradmedj-2020-139065
  17. Balla M et al., https://doi.org/10.1080/20009666.2020.1811074
  18. Maghbooli Z. et al., https://doi.org/10.1371/journal.pone.0239799
  19. Arboleda JF & Urcuqui-Inchima S, https://doi.org/10.3389/fimmu.2020.01523
  20. Murai IH et al., https://doi.org/10.1101/2020.11.16.20232397

Fonte dello studio


Un basso livello di vitamina D è associato agli esiti della malattia da coronavirus 2019: una revisione sistematica e una meta-analisi

Punti salienti

  • I pazienti positivi al COVID-19 hanno un’incidenza maggiore di bassi livelli di vitamina D rispetto ai pazienti negativi al COVID-19
  • I pazienti positivi al COVID-19 hanno livelli di vitamina D inferiori rispetto ai pazienti negativi al COVID-19
  • L’integrazione di vitamina D può essere utile per la prevenzione e il trattamento di COVID-19
  • La prova formale di un effetto deve essere determinata mediante studi randomizzati e controllati.

Astratto
Sfondo

Obiettivi

Abbiamo condotto una revisione sistematica e una meta-analisi per valutare l’associazione tra un basso stato di vitamina D e COVID-19.

Metodi

Risultati

Per la meta-analisi sono stati selezionati un totale di dieci articoli con 361.934 partecipanti. Nel complesso, l’OR aggregato nel modello a effetti fissi ha mostrato che la carenza o l’insufficienza di vitamina D era associata a un aumento del rischio di COVID-19 (OR = 1,43, IC 95% 1,00-2,05). Inoltre, gli individui positivi al COVID-19 avevano livelli di vitamina D più bassi rispetto agli individui negativi al COVID-19 (SMD = -0,37, IC 95% = da -0,52 a -0,21). Esisteva una significativa eterogeneità in entrambi gli endpoint. I grafici a imbuto e i test di regressione di Egger hanno rivelato significativi bias di pubblicazione.

Conclusioni

Questa revisione sistematica e meta-analisi hanno indicato che un basso livello di vitamina D potrebbe essere associato a un aumento del rischio di infezione da COVID-19. Sono necessari ulteriori studi per valutare l’impatto dell’integrazione di vitamina D sulla gravità clinica e sulla prognosi nei pazienti con COVID-19.

Registrazione della revisione sistematica

Numero di registrazione PROSPERO: CRD42020216740.