Misurazione dello stress ossidativo con d-ROMs test e BAP test

La misurazione dello stress ossidativo – Guida ragionata ed illustrata alla valutazione globale dello stress ossidativo attraverso le risposte alle domande più frequenti (FAQ)
A cura di Eugenio Luigi Iorio
Qual è l’informazione principale che il d-ROMs test fornisce al clinico?
Il d-ROMs test, attraverso una misura accurata dello stato ossidante, fornisce al clinico un’informazione, non acquisibile con lo studio di nessun altro dei test biochimici attualmente disponibili, sullo stato generale di benessere dell’organismo, stato che dipende ampiamente, appunto, dal ritmo con cui avvengono le ossidazioni biologiche. I suoi valori, pertanto, sono uno specchio fedele dello stato di attività dei processi ossidativi endogeni (respirazione cellulare) e reattivi (infiammazione) e, quindi, della velocità con cui sta procedendo in quel determinato momento il fisiologico processo di invecchiamento.

In tutti gli organismi viventi e, in particolare,nell’Uomo, esiste un delicato equilibrio fra la produzionee l’eliminazione – ad opera dei sistemi di difesa antiossidanti – dei cosiddetti radicali liberi.
La rottura di questo equilibrio, indicata come stress ossidativo, provoca l’insorgenza di lesioni cellulari che, se gravi e protratte nel tempo, conducono ad una accelerazione del processo dell’invecchiamento e all’insorgenza di numerosissime malattie.

1. Che cosa è lo stress ossidativo?

Lo stress ossidativo è una condizione patologica provocata dall’azione lesiva, sulle cellule e sui tessuti del nostro organismo, di quantità abnormemente elevate di radicali liberi. Esso viene a determinarsi perché la produzione di tali specie chimiche è aumentata e/o perché la fisiologica capacità di difesa nei loro confronti, ad opera dei sistemi antiossidanti, è ridotta.

2. Che cosa sono i radicali liberi?

I radicali liberi sono atomi o raggruppamenti di atomi nei quali almeno un orbitale esterno è “occupato” non da una coppia ma da un solo elettrone, detto, appunto, “spaiato”

3. Che cosa sono gli antiossidanti?

Gli antiossidanti sono agenti in grado di neutralizzare l’azione potenzialmente lesiva dei radicali liberi. Alcuni di essi (es. sistemi enzimatici della superossidodismutasi e della catalasi) sono endogeni, cioè vengono prodotti dal nostro organismo di cui sono parte integrante. Altri, invece, quali ad esempio le vitamine C ed E, sono esogeni, cioè devono essere introdotti dall’esterno, per esempio con una corretta alimentazione. (E CON INTEGRATORI)

4. Quali sono le cause che provocano un aumento della produzione dei radicali liberi?

L’organismo, già in condizioni normali, produce una determinata quota di radicali liberi, per effetto del fisiologico metabolismo cellulare. La sintesi di alcuni ormoni, per esempio, implica la generazione di radicali liberi mentre i leucociti polimorfonucleati sfruttano la produzione di questi agenti per uccidere i batteri, aiutando, in tal modo, il nostro organismo a difendersi dalle infezioni.
Altri radicali liberi, quali l’ossido nitrico (NO) sono indispensabili per l’omeostasi dell’intero organismo, in quanto modulano importanti funzioni, quali la contrattilità della muscolatura liscia vascolare, l’aggregazione piastrinica, l’adesione cellulare, etc.
Da questo punto divista, i radicali liberi sono stati giustamente definiti “insostituibili compagni” della vita cellulare.
Le cause ritenute responsabili di un aumento della produzione dei radicali liberi possono essere di svariata natura, fisica, chimica o biologica.

5. Quali sono le cause che provocano un abbassamento delle difese antiossidanti?

In condizioni di buona salute, il nostro organismo riesce a prevenire il danno da radicali liberi grazie al sistema naturale di difesa costituito dall’insieme degli antiossidanti, chiamati così proprio perché contrastano l’azione, appunto, ossidante, dei radicali liberi (vedi più avanti). Una ridotta efficacia di tale sistema è da imputarsi sostanzialmente ad un deficit assoluto o relativo di antiossidanti, comunque determinatosi.

6. Perché i radicali liberi sono potenzialmente dannosi?

I radicali liberi sono potenzialmente dannosi perché tendono spontaneamente a riempire con un altro elettrone l’orbitale con l’elettrone spaiato, essendola condizione di massima stabilità per queste specie occupare gli orbitali con coppie di particelle negative. Pertanto, quando viene a trovarsi nelle vicinanze di una molecola “bersaglio” (avente elettroni in qualche modo “disponibili”, come un acido grasso con doppi legami) il radicale libero repentinamente “strappa” ad essa l’elettrone.

In conseguenza di tale azione – definita “ossidante”– il radicale libero perde la sua potenziale pericolosità, mentre la molecola, privata di un elettrone, ne subisce un danno e diviene a sua volta un radicale libero, perpetuando, in assenza di controllo, la reazione precedentemente innescata a danno di altre molecole (glicidi, lipidi, amminoacidi, peptidi, proteine, acidi nucleici, etc.).

7. Qual è il meccanismo più comune attraverso il quale i radicali liberi inducono le caratteristiche alterazioni molecolari e cellulari tipiche dello stress ossidativo?

Uno dei meccanismi più diffusi, attraverso il quale i radicali liberi, una volta superate le difese antiossidanti, attaccano le varie componenti biochimiche cellulari ed extracellulari dell’organismo, è quello legato alla produzione dei cosiddetti idroperossidi.
In questo modello fisiopatologico, una cellula,sia per effetto di stressori esogeni (agenti fisici,chimici e biologici) che per la sua stessa attività metabolica (soprattutto a livello della plasma membrana, dei mitocondri, del reticolo endoplasmatico e del citosol) inizia a produrre quantità elevate di radicali liberi, tra cui il temibilissimo radicale idrossile (HO●), una delle più istolesive specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS).

Infatti, il suddetto radicale può “attaccare” qualsiasi substrato molecolare (glicidi, lipidi, amminoacidi, peptidi, proteine, acidi nucleici, etc.) e, strappando un elettrone (sottoforma di atomo di idrogeno), radicalizzarlo.
Dalla reazione a catena che ne deriva, in presenza di ossigeno molecolare, sono, infine, generati gli idroperossidi (ROOH), agenti relativamente stabili ma dotati di potenzialità ossidanti.
Per tale motivo, la cellula espelle al suo esterno questi metaboliti reattivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Metabolites), i quali, a loro volta, diffondono, attraverso le pareti del microcircolo, sia nella matrice che nei liquidi extracellulari, quali il sangue.

Qui, in condizioni di ischemia anche lieve, l’attivazione del metabolismo anaerobio induce un rilascio di cataboliti acidi che, provocando un lieve abbassamento del pH, inducono, tra l’altro, una modifica della conformazione della trasferrina, che viene così costretta a rilasciare il ferro in forma libera.
Sarà questo elemento di transizione, poi, a provocare per via catalitica (reazione di Fenton) la scissione degli idroperossidi in radicali alcossilici (RO●) e perossilici (ROO●), in definitiva responsabilidi lesioni ossidative a carico sia dell’endotelio che dicomponenti plasmatiche, quali le LDL. E’ evidente, quindi, che gli ROOH rappresentano non solo i “testimoni” ma anche i potenziali “amplificatori” del danno ossidativo a tutte le cellule dell’organismo.

8. Esiste una correlazione tra alterazioni biochimiche e quadri clinici?

In linea di massima, all’attivazione di specifici siti cellulari corrispondono altrettanti possibili quadri fisiopatologici e, quindi, clinici.

9. Come si manifesta, clinicamente, lo stress ossidativo?

Lo stress ossidativo, essendo una condizione squisitamente biochimica, non dà luogo a manifestazioni cliniche proprie, né soggettive né oggettive. Pertanto, esso rimarrà sconosciuto, con inevitabile danno del paziente, fino a quando il medico non ne sospetterà l’esistenza (tabella 1. 4.) e deciderà di sottoporre il suo assistito a dei test specifici, quali ild-ROMs test ed il BAP test.

La diagnosi di stress ossidativo si basa esclusivamente sull’esecuzione di test biochimici specifici, in grado di evidenziare lo squilibrio determinatosi nell’organismo tra produzione ed eliminazione di radicali liberi, che è alla base di questa condizione patologica.

10. Ai fini di una corretta diagnosi, lo stress ossidativo va considerato come una comune malattia?

Lo stress ossidativo non è una “malattia” nel senso tradizionale del termine, ma l’effetto della rottura di un equilibrio biochimico e, come tale, può influenzare, spesso in maniera subdola, l’insorgenzae/o il decorso di un gran numero di condizioni morbose o patologie di base. Ovviamente, non essendo una “malattia”, non dà luogo ad un proprio quadro clinico ma si nasconde dietro ai sintomi ed ai segni della patologia di base e può venire alla luce solo se il clinico, sospettandone l’esistenza, sottopone il soggetto che ne soffre a specifiche indagini biochimiche.

11. Le classiche analisi di laboratorio (es. uricemia, albuminemia, colesterolemia, VES, PCR, etc.) possono consentire al clinico di porre una diagnosi di stress ossidativo?

Nel corso degli anni, sono stati proposti vari test per avere un’idea, seppur indiretta, del bilancio ossidativo; tutti, però, si sono rivelati inaffidabili “surrogati”. Per esempio, l’acido urico, pur essendo dotato di attività antiossidante, non può assolutamente essere assunto come marcatore affidabile della funzionalità delle difese antiossidanti del sangue, alla cui costituzione partecipano numerosissime altre sostanze (es. vitamina C, vitamina E, caroteinoidi, polifenoli alimentari, etc.).

Lo stesso discorso vale per l’albumina, pur importante per la sua funzione di “shock-adsorber” nei confronti dei radicali liberi generati nel comparto ematico. Il livello di colesterolo nel siero costituisce un buon marker di rischio cardiovascolare, ma non è necessariamente associato allo stress ossidativo: in maniera solo apparentemente paradossale soggetti con colesterolemia normale possono avere un livello elevato di radicali liberi; ciò che rende pericoloso il colesterolo è la sua ossidazione da parte dei radicali liberi, per cui la classica distinzione tra colesterolo “buono” (HDL) e “cattivo” (LDL) dovrebbe essere rivista, essendo “cattivo”, cioè aterogeno, tutto il colesterolo ossidato, sia esso LDL che HDL.

La velocità di eritrosedimentazione (VES) e la proteina C reattiva (PCR) sono affidabili indicatori di condizioni infiammatorie, caratterizzata da un aumentato livello diradicali liberi, ma la loro negatività non esclude una condizione di stress ossidativo in atto. Pertanto, ai fini di una corretta diagnosi di stress ossidativo, le comuni indagini di laboratorio sono inappropriate e del tutto insufficienti.

Esse diventano utili al clinico solo dopo che questi, diagnosticata una condizione di stress ossidativo, intende risalire alla possibile causa o al possibile meccanismo implicato nell’aumento della produzione dei radicali liberi.

12. I comuni test per le intolleranze alimentari possono fornire indicazioni sull’esistenza di una condizione di stress ossidativo?

I comuni test proposti per la diagnosi delle intolleranze alimentari, spesso privi – peraltro – di qualsiasi fondamento scientifico, almeno nelle versioni usualmente proposte, non forniscono alcuna valida indicazione circa l’esistenza di una specifica condizione di stress ossidativo.

13. Qual è l’indagine più specifica e affidabile, in assoluto, per dimostrare, in un organismo vivente, la presenza di radicali liberi e quantificarne i livelli?

L’indagine elettiva per misurare i radicali liberi in un organismo vivente è la spettroscopia di risonanza magnetica o di spin dell’elettrone (EPR oESR). Sfortunatamente, però, questa implica una tecnica piuttosto complessa, richiede una strumentazione e delle professionalità non disponibili in tutti i laboratori, ed è particolarmente costosa, per cui viene utilizzata non per indagini di routine o studi discreening, quanto, piuttosto, per scopi di ricerca e per validare gli altri metodi di laboratorio (golden standard).
Anche quando correttamente eseguita, inoltre, l’ESR fornisce informazioni solo sulla produzione di radicali liberi non sugli antiossidanti, mentre lo stress ossidativo è la conseguenza della rottura di un equilibrio tra produzione di specie ossidanti ed efficienza dei sistemi di difesa antiossidanti.

15. Quali sono i test specifici attualmente disponibili in commercio per la valutazione dello stress ossidativo?

Coerentemente con i principi sopra esposti, i test di laboratorio attualmente disponibili esplorano la componente pro-ossidante (produzione di radicali liberi) o la componente anti-ossidante (attività antiossidante) dello stress ossidativo.
Ovviamente, non tutti i test hanno la stessa valenza diagnostica, per cui bisognerebbe distinguere i test di prima linea da quelli di seconda linea e, in particolare, per la valutazione dello status antiossidante, i test per determinazioni di parametri intracellulari (es. saggi enzimatici, come quello della glutationeperossidasi) dai test per determinazioni di parametri extracellulari (es. dosaggio di vitamine).

19. Qual è il panel di test che si sta dimostrando particolarmente utile nella valutazione routinaria dello stress ossidativo?

Esistono numerosi test per la valutazione dello stress ossidativo, alcuni dei quali stanno progressivamente entrando nella pratica clinica. Tra questi il panel messo a punto dal chimico pientino (di Pienza) Mauro Carratelli prevede la determinazione per via fotometrica sia della capacità ossidante totale (d-ROMstest) sia della barriera antiossidante plasmatica (BAP test, anti-ROMs test, OXY–Adsorbent test e –SHp test) in campioni biologici (a seconda dei casi, sangue intero, plasma, siero, estratti tissutali o cellulari). Questi test possono essere eseguiti non solo con un comune fotometro (manualmente) ma anche con un analizzatore multiplo (in automatico).

La valutazione dello stato ossidante: il d-ROMs test.

Il concetto di valutazione globale dello stress ossidativo impone, anzitutto, un’accurata determinazione del livello di radicali liberi prodotti in un organismo vivente. In realtà, i radicali liberi sono solo una parte delle specie chimiche responsabili dello stress ossidativo.
Alla patogenesi di quest’ultimo, infatti, concorrono anche numerosi altri agenti, quali, ad esempio, il perossido di idrogeno e l’acido ipocloroso. Per questo motivo, tutte le specie chimiche – radicaliche e non – responsabili dello stress ossidativo vengono raggruppate in un’unica grande famiglia, quella delle specie chimiche ossidanti. Pertanto, il primo passo della valutazione globale dello stress ossidativo implica la determinazione del livello globale di specie chimiche ossidanti – status ossidante o pro-ossidante – obiettivo che può essere agevolmente raggiunto grazie al d-ROMs test, inventato dal chimico pientino Mauro Carratelli.

20. Che cosa è il d-ROMs test?

Il d-ROMs test è un test fotometrico, ossia eseguibile nei laboratori d’analisi attraverso uno strumento analitico denominato fotometro. Per valutazioni ambulatoriali e routinarie esso viene proposto con sistemi fotometrici dedicati, quali il CARPE DIEM, che contiene, oltre al dispositivo ottico di lettura, anche una centrifuga incorporata nello strumento per la separazione della componente fluida da quella corpuscolata del sangue.

21. Che cosa misura il d-ROMs test?

Il d-ROMs test consente, sostanzialmente, di determinare la capacità ossidante del plasma dovuta in primis agli idroperossidi (ROOH), sostanze appartenenti all’ampia classe dei cosiddetti metaboliti reattivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Metabolites,ROMs).

22. Che cosa sono gli idroperossidi?

Gli idroperossidi sono composti generati dall’ossidazione di un’ampia classe di molecole di interesse biologico (glucosidi, lipidi, amminoacidi, peptidi, proteine, nucleotidi, ecc) che, in opportune condizioni, possono generare radicali liberi. Essi sono considerati non solo “testimoni” ma anche indicatori (“marker”) specifici di attività ossidante.

31. Quali sono le evidenze a favore del meccanismo di reazione proposto per il d-ROMs test, ovvero  con quale tecnica è stato validato il test?

Le evidenze a favore del fatto che il d-ROMs test è un affidabile metodica in grado di quantificare effettivamente gli idroperossidi circolanti sono state fornite dal CNR fin dal nel 1997 dalla spettroscopia di risonanza di spin dell’elettrone (ESR o EPR), universalmente considerata la tecnica “golden standard” per lo studio in vitro dei radicali liberi.

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46. A quale dei test attualmente disponibili nell’uso clinico routinario può essere in qualche modo ricondotto o assimilato il d-ROMstest?

Il d-ROMs test è un test originale che consente di determinare lo stato ossidante, ossia la capacità globale del plasma di indurre un’ossidazione, rilevata mediante il cambio di colore di un substrato ossidabile (il cromogeno). Pertanto, esso è un test specifico utile per la valutazione dello stress ossidativo che non trova alcun equivalente, neppure concettuale, con i comuni test della biochimica clinica, nemmeno in quelli utilizzati come predittori di rischio cardiovascolare, quali colesterolo, omocisteina e proteina C reattiva (PCR).

A proposito di quest’ultima, va rilevato che in condizioni di manifesta infiammazione, come la malattia reumatica, i livelli di PCR rientrano nei valori della norma, prima di quelli del d-ROMs test, che resta, da solo, a testimoniare l’esistenza di un danno ancora in atto, quello da insulto ossidativo.
Il clinico, pertanto, dovrebbe familiarizzare con il d-ROMs test come un test specifico che fornisce indicazioni preziosissime, altrimenti non ottenibili, su un fattore di rischio indipendente che è, appunto, lo stress ossidativo.
A tal riguardo sono paradigmatici i risultati di alcuni studi i quali hanno rilevato un d-ROMs test elevato in soggetti con livelli normali o solo lievemente aumentati di colesterolo totale, ad ulteriore dimostrazione che è l’ossidazione di questo lipide, nel contesto sia delle LDL sia delle HDL, e non solo il suo livello ematico, il vero fattore di rischio.

47. Qual è l’informazione principale che il d-ROMs test fornisce al clinico?

Il d-ROMs test, attraverso una misura accurata dello stato ossidante, fornisce al clinico un’informazione, non acquisibile con lo studio di nessun altro dei test biochimici attualmente disponibili, sullo stato generale di benessere dell’organismo, stato che dipende ampiamente, appunto, dal ritmo con cui avvengono le ossidazioni biologiche. I suoi valori, pertanto, sono uno specchio fedele dello stato di attività dei processi ossidativi endogeni (respirazione cellulare) e reattivi (infiammazione)e, quindi, della velocità con cui sta procedendo in quel determinato momento il fisiologico processo di invecchiamento.

Spetta al clinico, grazie alle specifiche linee guida, interpretare e gestire correttamente i risultati ottenuti. Per esempio, un‘ipertensione trattata farmacologicamente che si accompagna a valori elevati del d-ROMs test è, probabilmente, un’ipertensione non ben controllata, che può suggerire al clinico l’uso di un differente antiipertensivo, dotato anche di attività antiossidanti (es. un calcio-antagonista) o l’aggiunta di un integratore antiossidante al protocollo terapeutico in atto al fine di riportare nella norma il d-ROMs test.

Ovviamente, avere i valori del d-ROMs test nella “norma” non significa essere esente da malattie, ma semplicemente avere un rischio trascurabile di stress ossidativo. Infatti, le malattie che possono colpire l’Uomo sono ben più numerose di quelle (circa un centinaio, sebbene importanti) esplicitamente associate ad un’alterazione del bilancio ossidativo.

50. Quali sono le”indicazioni” ovvero quali soggetti il Clinico deve sottoporre al d-ROMstest?

Secondo i dati tratti dalla letteratura scientifica, sono ormai ben individuabili sia i soggetti candidati che le relative finalità dei test del pannello per la valutazione globale dello stress ossidativo sviluppato da Mauro Carratelli.
Appare evidente che al d–ROMs test dovrebbero sottoporsi periodicamente tutti i soggetti sani, perché non esiste individuo che non sia esposto al rischio di produrre – in senso assoluto o relativo – quantità eccessive di specie reattive. La finalità primaria del test, infatti, è quella di identificare e prevenire lo stress ossidativo e le sue conseguenze indesiderate (invecchiamento, malattie).

A maggior ragione il d–ROMs test andrebbe eseguito sistematicamente su tutti i soggetti, apparentemente sani dal punto di vista clinico, ma che sono esposti per varie ragioni a fattori in grado di aumentare la produzione (radiazioni, inquinanti,fumo, ecc.) e/o ridurre l’inattivazione di specie reattive (es. regimi alimentari squilibrati). La finalità del test è, anche in questo caso, identificare e prevenire lo stress ossidativo e le sue conseguenze.

Il d–ROMs test, inoltre, andrebbe eseguito su tutti i soggetti affetti da patologie – almeno un centinaio – che risultano in qualche modo correlate con lo stress ossidativo, dalla demenza senile al morbo di Parkinson, dall’ictus all’infarto, dal m. di Crohn all’artrite reumatoide, dall’AIDS ad alcune neoplasie e così via.

In tutti questi casi le finalità del d–ROMstest sono monitorare lo stress ossidativo e prevenirne le sue conseguenze, monitorare l’efficacia della terapia specifica sulla patologia in atto e, aspetto non trascurabile, monitorare l’efficacia della terapia specifica, in associazione con l’eventuale trattamento antiossidante integrativo, sullo stress ossidativo associato alla patologia in atto.

Riguardo aquest’ultima finalità, occorre sottolineare che in molte delle patologie sopra elencate, quasi tutte ad andamento cronico, lo stress ossidativo tende a configurarsi come un fattore di rischio aggiuntivo e, come tale, deve essere controllato per rendere ottimali i risultati della terapia.
In altri termini, l’evidenza, attraverso il d-ROMs test, di una condizione di stress ossidativo costituisce un indice di controllo incompleto della malattia e, pertanto, suggerisce al clinico un approccio terapeutico integrato ove trovino adeguata collocazione non solo i farmaci o gli interventi chirurgici tradizionali, ma anche la correzione dello stile di vita e, eventualmente, l’assunzione di antiossidanti.

Infine, sono candidati al d-ROMs test tutti quei soggetti sottoposti ad interventi terapeutici sia di tipo farmacologico (es. antiblastici, pillola, ecc.) sia di tipo chirurgico (es. trapianti di organo, interventi di rivascolarizzazione, ecc.), compresa la dialisi, in grado di compromettere il bilancio ossidativo in senso proossidante. Le finalità è quella di identificare e prevenire lo stress ossidativo e le sue conseguenze e, in particolare, monitorare l’efficacia di eventuali misure messe in atto per prevenire il danno tissutale da stress ossidativo.

52. In quali condizioni cliniche o patologie il d-ROMs test si è dimostrato finora utile?

Sulla base della letteratura scientifica disponibile (diverse centinaia di lavori), il d-ROMs test si è rivelato utile, nell’ambito delle finalità a cui esso è preposto, in quasi tutti i campi della Medicina Umana. L’utilità del d-ROMs test in medicina estetica è apparsa evidente nel monitoraggio di trattamenti indirizzati a rallentare l’invecchiamento cutaneo e a ridurre la gravità della cellulite.
Il d-ROMs test è stato applicato con successo nel monitoraggio dello stress ossidativo anche nelle cosiddette medicine alternative, secondo quando riportato in tre studi clinici effettuati allo scopo di valutare l’efficacia di alcuni trattamenti, rispettivamente, l’ozono-terapia, la terapia iperbarica e la somministrazione transcutanea di un estratto di ginkgo biloba.

Nel campo dell’andrologia, il d-ROMs test si è dimostrato un metodo promettente nella valutazione del livello di idroperossidi nel liquido seminale e, in particolare, nel monitorare l’efficacia di trattamenti antiossidanti nell’infertilità. Le broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) ed altre malattie dell’apparato respiratorio costituiscono anch’esse interessanti aree di applicazione del test.

Il medesimo discorso vale, classicamente, per le malattie cardiovascolari.

Infatti,il d-ROMs test si è dimostrato estremamente utile nel monitoraggio dello stress ossidativo associato all’ipertensione arteriosa, alla stenosi carotidea, all’endoarterectomia carotidea, all’angioplastica coronarica, alle malattie vascolari periferiche, all’insufficienza venosa, e ad altre vasculopatie, secondo quando riportato dai numerosi trial clinici.

Secondo l’autorevole rivista Circulation il d-ROMstest rientra tra i marker emergenti predittivi di primo evento aterotrombotico.
Molto recentemente, il test si è dimostrato estremamente affidabile nell’individuare una condizione di stress ossidativo latente in pazienti in remissione clinica affetti da malattia di Chron, una patologia cronica intestinale particolarmente grave.

Come atteso, il d-ROMs test è apparso utile nel monitoraggio dello stress ossidativo e della terapia antiossidante nell’invecchiamento.

Le sindromi mielodisplastiche e le condizioni di trombofilia sono i campi maggiormente studiati dell’ematologia, nei quali lo stress ossidativo è stato valutato mediante il d-ROMs test.
Lo stress ossidativo associato ad epatopatie è stato recentemente valutato con successo mediante il d-ROMs test. Recentemente, il test ha consentito anche di valutare l’efficacia di un rimedio omeopatico nel linfedema primario degli arti inferiori.

Significativii risultati ottenuti in pazienti affetti da AIDS, notoriamente ad alto rischio di stress ossidativo.

Per quanto concerne la neonatologia e la pediatria, si è visto che i neonati, indipendentemente dal sesso presentano valori del d-ROMs test significativamente più bassi di quelli riscontrati negli adulti;
inoltre, è stato riscontrato un alterato bilancio ossidativo (elevati valori del d-ROM test e ridotti livelli dell’OXY-adsorbent e dell’-SHp test) nei bambini affettida sindrome di Down; infine, la fototerapia si è dimostrata efficace nel ridurre sia i livelli di bilirubina che di d-ROMs test in neonati itterici.
Ed ancora, il test si è dimostrato particolarmente utile nella valutazione dello stress ossidativo associato a malattie renali e, in particolare, nell’insufficienza renale cronica così come la dialisi ed il trapianto renale.

Nel campo della neurologia e della psichiatria, un trial caso-controllo ha dimostrato, mediante il d-ROMstest, che la terapia antiossidante riduce significativamente i livelli di stress ossidativo in pazienti affettida demenza senile.

Un altro trial controllato mediante placebo ha evidenziato che il trattamento chelante con D-penicillamina è in grado di ridurre i livelli sierici di ROM nella malattia di Alzheimer. Più recentemente, si è anche osservato che pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica hanno valori di d-ROMs test più elevati dei soggetti normali di controllo, suggerendo che le specie reattive dell’ossigeno possono giocare un ruolo importante nella patogenesi della perdita neuronale in questa grave malattia.

Numerosissimi studi hanno dimostrato l’utilità pratica del d-ROMs test nel monitoraggio dello stress ossidativo nel campo della nutrizione, del metabolismo e del ricambio; in particolare un alterato bilancio ossidativo è stato riscontrato nei forti bevitori, negli obesi, nei diabetici, e nei dislipidemici.

Lo stesso test è stato applicato con risultati estremamente interessanti nella valutazione di efficacia di formulazioni antiossidanti e negli studi di correlazione fra stress ossidativo ed iperomocisteinemia.

In campo oncologico, un incremento marcato e significativo dei valori del d-ROMs test è stato osservato dopo chemio- o radio-terapia, rispetto ai livelli pre-trattamento. Tuttavia, alcune formulazioni antiossidanti si sono dimostrate efficaci – sulla base della riduzione dei valori del d-ROMs test – nel ridurre il livello di stress ossidativo in pazienti oncologici.
Una condizione di stress ossidativo, valutata mediante d-ROMs test, è apparsa evidente anche nella maculopatia associata all’età, una condizione responsabile di cecità negli anziani. In otorinolaringoiatria, è da segnalare uno studio sulla valutazione dello stress ossidativo nella sindrome di Ménière mediante il d-ROMS test.

Pazienti affetti da artrite reumatoide hanno presentato livelli particolarmente elevati di ROM rispetto ai controlli sani.

Diverse discipline sportive, richiedenti un considerevole impegno muscolare, a causa dell’intensità e/o della durata dello sforzo, quali foot-ball, si sono accompagnate generalmente ad un aumento dei livelli del d-ROMs test dopo la prestazione; inoltre, il d-ROMstest si è dimostrato utile nel monitorare l’efficacia di trattamenti antiossidanti negli atleti.

53. Che cosa è il BAP test?

Il BAP test , ossia test per la determinazione del potenziale biologico antiossidante (Biological Antioxidant Potential), è un test fotometrico, ossia eseguibile attraverso uno strumento analitico denominato fotometro. Per valutazioni ambulatoriali e routinarie esso viene proposto con il sistema FRAS, che contiene, oltre al dispositivo ottico di lettura anche una centrifuga incorporata nello strumento per la separazione della componente fluida da quella corpuscolata del sangue.

54. Che cosa misura il BAP test?

Il BAP test consente, sostanzialmente, di determinare la concentrazione ematica delle sostanze antiossidanti nella loro accezione di agenti in grado di ridurre il ferro dalla forma ferrica a quella ferrosa.
Sebbene al momento non sono disponibili dati sui singoli antiossidanti rilevati e quantificati dal BAPtest, per analogia con altri test che misurano la capacità di ridurre metalli di transizione (es. FRAP,CuRAP, etc.), il BAP test fornisce una misurazione globale di molti antiossidanti, quali acido urico, acido ascorbico, proteine, α-tocoferolo, bilirubina ed altri.

In altre parole, come per altri test per la misurazione dello stato antiossidante (per esempio TAS, della Randox, o l’ORAC test), il BAP test non è stato progettato per fornire alcuna informazione circa la concentrazione di un singolo antiossidante perché questa da sola avrebbe scarsissimo valore clinico.

62. Qual è il principio del BAP test?

Il BAP test si basa sull’applicazione “in provetta” di quello che si osserva in Natura, cioè la formazione della ruggine. Come è noto, l’ossidazione del ferro provoca il passaggio del metallo dalla sua forma ferrosa a quella ferrica.

Poiché, il ferro è anche un elemento fisiologicamente ben rappresentato nell’organismo, esso è stato prescelto come indicatore redox nel test in questione. Pertanto, misurata l’assorbanza di una soluzione colorata, preparata al momento dal mescolamento dei reagenti R1 (cromogeno, tiocianato) ed R2 (cloruro ferrico), l’entità della decolorazione – rilevata per via fotometrica come cambio di assorbanza – in seguito all’aggiunta del campione di plasma sarà direttamente proporzionale alla concentrazione di agenti in grado di riportare il ferro alla sua forma ferrosa, ossia al potenziale biologicamente attivo.

contatto del dottore che ha pubblicato questa tesi
eugenioluigi.iorio@alice.it

 


Liberatoria (Disclaimer)

Dichiarazione di non responsabilità: questo articolo non è destinato a fornire consulenza medica, diagnosi o trattamento.
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