Covid 2020
Infermieri e Medici tutti in “Burn Out” ha inciso sulla qualità assistenziale

La Situazione Covid 2020 gestita da Infermieri e Medici, sotto pressioni lavorative eccezionali del Covid, ha inciso sulla qualità assistenziale.

Turni massacranti senza riposi, nuove norme da rispettare e nuove procedure imposte, la paura di infettarsi per una malattia infettiva sconosciuta, ha tolto sicurezza e serenità nelle pratiche mediche rivolte all’utenza creando un circolo vizioso che ha riprodotto in maniera esponenziale piu’ panico ed ansia anche nella popolazione, tanto che, se il nosocomio veniva visto come salvezza prima del covid, oggi è visto per la maggior parte delle persone come il posto meno sicuro dove farsi curare e che fa anche paura.

Le altre affezioni che in passato sarebbero state viste come attinenti all’area di Primo Soccorso, anche se in Codice Verde o Bianco, oggi si sopportano e si curano a casa evitando i PS, un pò per la paura di infettarsi in ambiente promiscuo dove affluiscono i malati contagiati, un pò per la riduzione di empatia ed accoglienza da parte del personale, che sotto stress vede in ogni persona che arriva, un problema di troppo da risolvere, anziché come parte del proprio lavoro.

Non si vuole colpevolizzare il comparto sanitario assistenziale, ma fare una fotografia della situazione in generale, sulla base del sentito dire, e letto dai giornali in questo periodo o da testimonianze di medici e persone coinvolte, perché daltronde per verificare la situazione bisognerebbe entrare nei reparti covid, ma questo è impossibile perché hanno impedito l’accesso ai familiari. (Petizione)

Questo divieto di accesso per parenti, secondo me, poteva essere un provvedimento estemporaneo e provvisorio all’inizio dell’emergenza sanitaria, ma che almeno in forma ridotta doveva essere ripristinato.
E’
stato un errore proseguire su questa linea facendo pensare male agli esterni, all’opinione pubblica ed alle persone che si fanno sempre piu’ domande su come sia stata gestita questa emergenza e contribuendo a creare le divisioni fra chi crede a quello che dicono le Tv, o ai racconti convulsi dei post degli infermieri sui social e quello che si sospetta si accaduto veramente, cioè un vero disastro sul piano assistenziale gestito male sin dall’inizio avendo il ministero della salute fatto passare la circolare ai medici di base che li escludeva dal dare un supporto ai malati in sede domiciliare con cure tempestive. Si sarebbero evitate molte corse verso l’Ospedale da parte di chi al primo starnuto e colpo di tosse ha richiesto l’ambulanza per andare in PS.
Inoltre, ci sono troppi racconti di familiari che hanno visto portare via un loro caro in ambulanza e non avere potuto né vederlo né avere sue notizie, se non dopo morto e ancor di piu’ avere deciso per la cremazione, sostenendo falsamente che i cadaveri sarebbero stati contagosi, ma come sappiamo i virus non vivono a lungo senza l’ospite vivo. Ma in emergenza tutto è concesso e “perdonato”, anche se si è superato l’invalicabile diritto delle persone di scegliere anche come morire o essere sepolto.

Riporto tre testimonianze, ma ce ne sono state di piu’, anche di medici che si sono ammalati e curati precocemente e senza ricorrere alle cure in ospedale e di medici che hanno continuato ad essere medici coscienzionsi e curato i malati a casa, e senza casi di decessi.

Dr Zaccagna, Dr Caggiano, Dr Salucci, drssa Maria Grazia Bondi ecc.
Molti medici hanno scritto e testimonianto in interviste di avere mandato lettere al ministro della salute Speranza chiedendo facoltà di mettere in atto le cure mediche e visitare i pazienti a casa, mostrato protocoolli di tarapie collaudate sul campo che stavano funzionando, ma sono stati tutti appelli ignorati.

Per questo motivo tutte gli interventi si sono concentrati negli ospedali congestionando le attività degli operatori medici ed infermieri e rendendo le cure scarse e gravente insuffiecienti e tutti quanti sotto pressioni hanno acquisito neil tempo uno stato cronico di stress.

 

 

Sindrome da burnout: quando il lavoratore “si brucia”

Lo stress lavorativo cronico è una condizione diffusa anche nel nostro paese. È importante saperne riconoscere i sintomi per poter mettere in atto delle strategie difensive

Burnout in inglese significa letteralmente bruciato, fuso. Ed è un termine che descrive molto bene come si sente un soggetto colpito dalla sindrome da burnout, chiamata anche sindrome da stress lavorativo cronico, o da stress lavoro-correlato. [1]

Si tratta di una condizione descritta dagli psicologi fin dagli anni settanta, inizialmente tra gli operatori sanitari e poi nel gruppo più ampio di tutti i professionisti che in senso allargato “si occupano della gente” (helping professions): i lavoratori del sociale (assistenti sociali, educatori, volontari, etc.) e gli insegnanti. [1,2]

Le manifestazioni della sindrome sono sostanzialmente tre [3]:

  • sensazione di mancanza o esaurimento di energia
  • distacco mentale sempre più accentuato dal proprio lavoro, o sensazione di negatività o cinismo nei confronti del proprio lavoro
  • ridotta efficacia professionale.

Burnout: un problema diffuso

La sindrome da burnout è un problema assai diffuso, che può avere notevoli ripercussioni per la salute e la produttività di qualsiasi sistema organizzativo di servizi alla persona. [2]

Dopo decenni di discussioni, a sancire la peculiarità del burnout è intervenuta anche l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), che nel 2019 ha riconosciuto questa sindrome come un fenomeno occupazionale e non come una condizione medica. L’OMS ha fatto anche una precisazione importante: il concetto di burnout si riferisce in modo specifico al contesto di lavoro e non dovrebbe essere applicato in altri contesti.

Le cause del bornout…

A occuparsi per primi del problema sociale del burnout sono stati gli Stati Uniti. E proprio negli States la Mayo Foundation for Medical Education and Research (MFMER), una delle istituzioni più attente alla situazione della salute pubblica, ha redatto un documento in cui si individuano i fattori che in ambito lavorativo più possono minare la psiche dei lavoratori. Eccole elencate schematicamente [5]:

  • Mancanza di controllo. Spesso le persone colpite dal problema si lamentano di non avere voce in capitolo nelle decisioni che influenzano il loro lavoro, o di non avere le risorse sufficienti a svolgere i loro compiti.
  • Aspettative di lavoro poco chiare. I lavoratori spesso non si trovano a loro agio perché non è stato definito in modo esplicito il loro grado di autorità sugli altri o ciò che i superiori si aspettano da loro.
  • Dinamiche di relazione tra colleghi disfunzionali. Spesso il problema risiede in un rapporto personale difficile col capufficio o con i colleghi: questo può essere un fattore determinante per l’accumulo di stress nelle ore lavorative.
  • Picchi di attività. Stanchezza e burnout sono dietro l’angolo quando viene richiesta una concentrazione costante per far fronte a situazioni lavorative monotone o caotiche.
  • Mancanza di sostegno sociale. Le persone a maggior rischio di burnout sono quelle più isolate, che non possono contare su una rete di sostegno, sul luogo di lavoro così come nella vita personale.
  • Squilibrio tra lavoro e vita privata. Spesso il burnout è associato a un tempo dedicato al lavoro dilatato a dismisura, che toglie tempo ed energie da dedicare alla famiglia, al tempo libero e agli interessi personali.

e le sue conseguenze

Secondo gli esperti della Mayo Foundation, il burnout ha alcune tipiche conseguenze sulla salute psichica e fisica della persona. Alcuni di questi sono sintomi, come [5]:

  • affaticamento
  • insonnia
  • tristezza
  • rabbia
  • irritabilità.

Altri sono comportamenti, messi in atto per cercare di compensare lo stato di disagio, come:

  • abuso di alcool
  • abuso di sostanze stupefacenti.

Se si guarda invece allo specifico contesto professionale, gli studiosi del problema segnalano anche l’assenteismo, il deterioramento della prestazione lavorativa, la richiesta di trasferimento o l’abbandono volontario del posto di lavoro [1].

Infine, il burnout può essere un fattore di rischio per l’insorgenza di diversi disturbi fisici o addirittura patologie, quali [5]:

  • ipertensione
  • malattie cardiache
  • diabete di tipo 2.

Burnout: che fare?

Gli esperti della Mayo Foundation hanno pubblicato anche alcuni consigli per aiutare le persone che si accorgono di andare incontro a un probabile burnout o ne sono già colpiti. [5]

  • Valutare le proprie opzioni. Il primo consiglio è di capire se ci sono margini di miglioramento della situazione lavorativa, discutendo delle proprie preoccupazioni con i superiori o il supervisore: l’obiettivo può essere quello di un cambiamento nelle aspettative, oppure di raggiungere un compromesso sulle richieste.
  • Cercare supporto. Colleghi, amici o i propri cari possono offrire aiuto e collaborazione per affrontare la situazione. In alcune realtà lavorative sono attivi programmi di assistenza per i dipendenti: in tal caso è consigliato approfittarne.
  • Dedicarsi ad attività rilassanti. Praticare yoga, meditazione o “Tai Chi” possono aiutare contro lo stress.
  • Praticare esercizio fisico. Un’attività fisica regolare può aiutare a gestire meglio lo stress e può anche distogliere la mente dal lavoro.
  • Dormire. Il sonno consente di ritrovare il benessere e aiuta a preservare la salute.

Praticare la mindfulness. La mindfulness consiste nel concentrarsi sul flusso del respiro, cercando di essere profondamente consapevoli di ciò che si percepisce e si sente in ogni momento, senza interpretazioni o giudizi. In un ambiente di lavoro, questa pratica consente di affrontare le situazioni con apertura e pazienza, ma senza giudizio.

  1. INAIL Settore Ricerca – Dipartimento di Medicina del Lavoro – Burnout e insegnamento

https://www.inail.it/cs/internet/docs/allegato_burnout_e_insegnamento.pdf

  1. Marconcini S. La Sindrome del Burn out impatto nelle Helping Professions. Scienze infermieristiche

https://www.scienzeinfermieristiche.net/la-sindrome-del-burn-out-impatto-nelle-helping-professions/

  1. WHO – Burn-out an “occupational phenomenon”: International Classification of Diseases

https://www.who.int/mental_health/evidence/burn-out/en/

  1. Carlini et al. Analisi e valutazione medico-legale della sindrome da burnout nell’ambito delle helping profession e della tutela INAIL per i casi di malattia e suicidio. RivPsichiatr 2016; 51(3):87-95

https://www.rivistadipsichiatria.it/r.php?v=2304&a=24790&l=326934&f=allegati/02304_2016_03/fulltext/02.Carlini%20(87-95).pdf

  1. Mayo Clinic – Job burnout: How to spot it and take action

https://www.mayoclinic.org/healthy-lifestyle/adult-health/in-depth/burnout/art-20046642


Libro

Il rischio stress lavoro-correlato in ospedale

Risultati complessivi nella valutazione della sindrome di burnout

Stress e burnout sono due termini spesso utilizzati contemporaneamente, per delineare disagi organizzativi a più livelli nelle organizzazioni complesse, anche sanitarie. Il termine burnout non è altro che una risposta disfunzionale allo stress lavorativo prolungato. E’ utilizzato per definire una particolare degenerazione dello stato emotivo degli operatori impiegati nei rapporti con il pubblico, nello specifico, nelle professioni di aiuto, “Le Helping Profession”. In questo elaborato, si è cercato di approfondire tale tema e di capire in che misura tale fenomeno sia responsabile di eventuali inefficienze all’interno di una realtà ospedaliera pugliese.


Sanitari a rischio di depressione, ansia, insonnia e stress

Medici e infermieri a stretto contatto con pazienti COVID-19 sono ad alto rischio di sviluppare sintomi come ansia, depressione, insonnia e stress. A dirlo è lo studio “Factors associated with mental health outcomes among health care workers exposed to Coronavirus disease 2019” pubblicato sulla rivista JAMA. Lo studio, condotto per mezzo di un’indagine anonima tra gennaio e febbraio 2020, ha coinvolto 1257 sanitari: il 39% dei partecipanti erano medici, il 61% infermieri di 34 ospedali cinesi. Il 60% lavorava a Wuhan, il 21% nella provincia di Hubei (fuori Wuhan), il 19% fuori dalla provincia di Hubei. Il 77% erano donne.

Covid-19, fattori di rischio per depressione e ansia dei sanitari

È importante quantificare il rischio e l’entità dei sintomi per non abbandonare gli operatori

La metà dei partecipanti ha sviluppato sintomi depressivi, il 45% ansia, il 34% insonnia e il 71,5% stress.

Le infermiereche lavoravano in prima linea a Wuhan hanno riportato tutti questi sintomi in modo più severo rispetto ai medici, uomini, che lavoravano in seconda linea e fuori Wuhan o dalla provincia di Hubei.

La risposta psicologica di tutti gli operatori ad una pandemia è molto complessa e può essere influenzata da moltissimi fattori che possono contribuire ad alimentare la propria vulnerabilità, quali preoccupazioni per la propria salute, per quella dei familiari, per la diffusione incontrollata del virus, per l’isolamento obbligato e per i continui cambiamenti che stanno avvenendo nei luoghi di lavoro.

Gli ospedali stessi, vedi i nostri italiani, si sono trasformati in nuove realtà di accoglienza, con reparti smembrati e riconvertiti a bassa, media ed alta intensità COVID.

Già studi precedenti effettuati sulla SARS del 2003 avevano mostrato come i sanitari avessero paura del contagio, di infettare i propri familiari, amici e colleghi, dell’incertezza della situazione e di essere in qualche modo stigmatizzati dagli altri.

Gli stessi operatori avevano riportato elevati livelli di stress, ansia e depressione. Questi sono gli stessi problemi che stanno affrontando e che affliggono ora i nostri operatori sul campo, nelle corsie e sul territorio.

Già a partire da febbraio in Cina sono stati resi disponibili servizi psicologici, anche telematici, ad oggi mancano però interventi evidence based che possano supportare efficacemente gli operatori in prima linea.

 


Liberatoria (Disclaimer)

Dichiarazione di non responsabilità: questo articolo non è destinato a fornire consulenza medica, diagnosi o trattamento.
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