Vitamina D e sistema immunitario

RUOLI DELLA VITAMINA D NELLA REGOLAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA

Luciano Adorini – Università degli Studi, Padova

La vitamina D è un pro-ormone liposolubile costituito da due forme principali: il colecalciferolo (vitamina D3), derivante dal colesterolo e sintetizzato negli organismi
animali, e l’ergocalciferolo (vitamina D2), di provenienza vegetale. Nella cute i raggi ultravioletti favoriscono la conversione del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo, che viene idrossilato nel fegato in 25-idrossicolecalciferolo [25(OH)D] ed in seguito nel rene, dando origine a 1,25-diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3], la forma biologicamente attiva dell’ormone. 1,25(OH)2D3 regola molteplici geni, oltre 1000 – similmente ad un ormone-attivando o inattivando il DNA nucleare in vari tipi cellulari. 1,25(OH)2D3 si lega ad un recettore nucleare specifico (vitamin D receptor, VDR) che eterodimerizza con il recettore per retinoidi RXR.

Questo complesso, dopo aver reclutato una serie di coattivatori e corepressori si lega ad una regione del DNA responsiva alla vitamina D (VDRE) adiacente al gene da attivare innescando il processo di trascrizione del DNA. 1,25(OH)2D3 controlla il metabolismo del calcio, indispensabile per sviluppo, formazione, accrescimento e stabilità dello scheletro e delle ossa. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che il sistema vitamina D potenzia la risposta immunitaria di tipo innato, ad esempio stimolando la produzione di catelicidina, un peptide con azione antimicrobica, e modula attraverso diversi meccanismi la risposta immune acquisita.

1,25(OH)2D3, prodotto da macrofagi, cellule dendritiche, linfociti T e B, contribuisce fisiologicamente, attraverso il VDR espresso in questi tipi cellulari, alla regolazione della risposta immunitaria.

Molteplici evidenze indicano una alta prevalenza di insufficienza di vitamina D, definita da un livello sierico di 25(OH)D inferiore a 20 ng/ml, e questa insufficienza è stata correlata ad una aumentata incidenza di malattie autoimmuni, oltre che a patologie dell’osso e ad una maggiore incidenza di vari tipi di tumori.

Le cellule dendritiche sembrano essere il bersaglio principale di 1,25(OH)2D3 a livello delle cellule del sistema immunitario. 1,25(OH)2D3 induce in cellule dendritiche proprietà tolerogeniche che favoriscono l’induzione di cellule T regolatorie, capaci di sopprimere la risposta immunitaria. Inoltre, le cellule T possono essere inibite direttamente
da 1,25(OH)2D3.

La modulazione della risposta immunitaria mediata da 1,25(OH)2D3riduce il rischio di varie malattie autoimmuni, quali artrite reumatoide, diabete di tipo 1 e sclerosi multipla, e la efficacia di analoghi della vitamina D in queste patologie è documentata dalla inibizione della psoriasi, una malattia autoimmune della pelle in cui questi agenti sono il farmaco per uso topico più utilizzato.


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Rafael Battistella·Venerdì 22 dicembre 2017·

 Tanto la D3 quanto la D2 sono potenti ormoni e non vitamine, come impropriamente definite, ormoni che “trasmettono notizie” al DNA cellulare, disponendo di 4.500 recettori nelle cellule del sistema immunitario, del quale sono il più importante modulatore. L’elaborazione della vitamina D si ha allorquando la luce ultravioletta s’irradia sulla cute o sul pelo degli animali (molti animali assorbono la D leccandosi il pelo). Il colecalciferolo è impropriamente definito vitamina D ma è sia un ormone sia una sostanza indispensabile per l’attivazione di 229 geni all’interno delle nostre cellule.

La vitamina D3 da colecalciferolo, 50 volte più attiva della D2 da ergocalciferolo, è una sostanza immunoregolatrice, in grado cioè di operare sul S.I., sulla sua attività, equilibrandolo, se sbilanciato, e correggendo le risposte errate nei confronti di eventuali assalitori infiltratisi dall’esterno. Pur essendo un potentissimo strumento di difesa, dotato di cellule in grado di fabbricare centinaia di sostanze diverse, estremamente letali per gli eventuali aggressori, talvolta, purtroppo, il S.I. “s’inceppa” a tal punto da non saper riconoscere neppure se stesso e da procurarsi guai veramente seri, ossia tutta una serie di “malattie” che passano sotto il nome di “autoimmuni”. Bene, in queste nefaste, quanto ingarbugliate situazioni, la D è capace d’infiltrarsi nel meccanismo di trasmissione tra i diversi nostri costituenti, modulando sia l’attività sia l’inattività delle nostre stazioni immunologiche.

Il timo e ogni cellula del nostro organismo (cellule dendritiche dalla sigla APC, ossia Antigen-Presenting Cell, specializzate nella cattura di antigeni, linfociti t, …) possiedono sulla loro membrana un VDR (recettore per la D), il quale può collegarsi alla 1,25 OH D (forma biologicamente attiva della vitamina D).

Tanto il timo (ghiandola del sistema linfatico e più generalmente di quello immunitario, con l’incarico di far raggiungere ai differenti tipi di linfociti il pieno sviluppo, con lo scopo poi di annientare i microrganismi patogeni all’interno delle cellule) quanto il linfocita T (vitale cellula del S.I., che ha origine nel midollo osseo come unità cellulare non differenziata, per essere poi destinata al timo per la sua conversione in linfocita T, preposta all’immunità cellulo-mediata) necessitano di tantissima D, perché se viene loro a mancare, ecco che risulta più arduo che gli stessi linfociti giungano a maturazione, con grave danno per il S.I..

I bambini, frequentemente cagionevoli di malattia, andrebbero sottoposti a un controllo del livello della 25-OH-D e del paratormone.

L’efficienza del linfocita T nell’aggredire l’antigene è riconducibile alle cellule dendritiche APC, specializzate nella cattura antigenica, subito esposta all’azione delle predette cellule “killer” (linfociti T), le quali comprendono di che cosa si tratti e promuovono una reazione immunitaria congeniale contro l’antigene.

Non solo: tra i linfociti T c’è poi una sottopopolazione, T Helper (“aiutanti” che insieme ai linfociti B modulano la fabbricazione degli anticorpi, per cui sono vitali per proteggere il corpo dalle infezioni sia batteriche sia virali ), autentici custodi del S.I., che fabbricano le interleuchine, particolarmente l’interleuchina 12 (IL12). La D agisce sia sulla formazione delle cellule dendritiche sia sulla trascrizione genica ed è quindi capace di monitorare e modulare tutto il S.I.; controlla, inoltre, la trasformazione dei monociti in macrofagi che fagocitano e annientano le cellule-bersaglio, assicurando così al S.I. un’ottima protezione contro i microrganismi patogeni.

Tanta più D possediamo quanto più efficace sarà la nostra risposta immunitaria alle infezioni e al contempo la capacità dell’organismo d’inibire la suicida reazione autoimmune.
Si consideri che, nel morbo di Crohn, a causa di un polimorfismo, un recettore della vitamina D non riesce a fissare la 1.25OHD, producendo un deficit della stessa, che non risulta tuttavia nel sangue. In questa circostanza, servirà accrescere, e di parecchio, l’integrazione della D, in modo da garantire una giusta reazione immunologica.

La vitamina D da colecalciferolo, quella ricavata per effetto dell’irraggiamento solare o assimilata a livello enterico, subisce due processi di idrossilazione:

  • a livello epatico, mediante l’enzima idrossilasi, la D è permutata in 25-OH-D (calcidiolo);
  • a livello renale, tramite la 1a-idrossilasi e la 24-idrossilasi, la 25-OH-D è convertita in 1.25OHD (calcitriolo, forma attiva) oppure in 24.25OHD (forma non attiva).

Per quanto attiene la seconda delle due conversioni, essa si pone in essere per ovviare a eventuali surplus di vitamina D, che promuoverebbero un’esagerata assimilazione di calcio nella filtrazione renale.

Bene: siccome figurano ben 3 differenti polimorfismi enzimatici, s’intuisce chiaramente la necessità di calibrare dosi diverse da soggetto a soggetto per questa vitamina nella sua forma attiva.

La forma attiva della vitamina D, calcitriolo ossia 1.25OHD e il Paratormone, ormone paratiroideo (PTH), espletano tra di loro un’azione avversa:

  • il PTH prende parte al metabolismo del calcio, promuovendone una sua immissione nei fluidi extracellulari, nell’eventualità che vi sia un suo deficit nel flusso ematico e favorisce la sintesi di 1.25OHD nel livello renale, per accrescere l’assimilazione del calcio nel livello sia renale sia enterico.
  • Di contro, la vitamina D antagonizza la sintesi di PTH per scongiurare che s’instauri un inappropriato processo attraverso il quale i 2 ormoni possano essere fabbricati incessantemente, sfalsando così tutto il metabolismo del calcio.

Soprattutto in caso di malattie autoimmuni, ma anche di altre patologie, occorre verificare, attraverso un semplice prelievo di sangue, sia il valore della 25-OH-D sia quello del paratormone (PTH), verificando che esso sia stabile sul valore minimo del range di normalità. Inoltre, sarà utile riscontrare il valore della Calciuria (livello del calcio nelle urine), perché, se in eccedenza (ipercalciuria), andrebbe a ostruire la filtrazione renale, con gravi ripercussioni su tutto l’organismo.

L’opposizione limitata nell’assorbimento della vitamina D, per difetto genetico acquisito dalla madre, dal padre o da entrambi i genitori, conduce verso la patologia autoimmune.

Coloro che sono affetti da malattia autoimmune necessitano pertanto di Megadosi di vitamina D, come per es. nella S.M., per preservare uno stato di “remissione perpetua” della patologia. Con dosi massicce di vitamina D, i pazienti con S.M. raggiungono un arresto completo e duraturo delle lesioni. Ovviamente, ogni soggetto, sia se con patologia autoimmune sia se sano, ha una soglia a lui ottimale nell’assunzione di megadosi di vitamina D, a seconda cioè della personale resistenza all’assorbimento della vitamina stessa, soglia che conviene garantirsi giorno per giorno quale prevenzione nei confronti di una infinità di rischi, anche piuttosto seri.

Le dosi ottimali di vitamina D da assumere si ottengono, sotto stretto controllo medico, attraverso i rilevamenti, prima del trattamento, sia della 25-OH-D sia del paratormone, si stabilisce una dose di partenza, superiore alla dose di 10.000 IU, ritenuta fisiologica, dopodiché si ripetono i rilevamenti bimestralmente (periodo necessario per osservare il rialzo della D nei valori ematici e il suo assestamento), fino a che non si osserva che il paratormone si sia attestato sul valore minimo del range di normalità, il quale segnalerà che la vitamina D è attiva e garantirà i suoi straordinari effetti e cioè quelli che conquistano l’arresto e/o l’eliminazione della patologia.

Ovviamente, il paratormone, inibito dalle dosi sempre maggiori di vitamina D, non deve scendere sotto il valore minimo del normale ma rimanere appena sopra, in modo da espletare il massimo effetto immuno-modulatore, senza esporre il soggetto ad alcun pericolo.

Se, infatti, il PTH scendesse sotto la soglia del valore minimo del normale, verrebbe meno il livello di sicurezza: la vitamina D diverrebbe nociva, andando a creare deplezione di un gran quantitativo di calcio dalle ossa per riversarlo nel flusso ematico, con inevitabile danno a carico dei reni. Quindi il PTH fermo sul valore minimo del range di normalità ci dà una duplice certezza:

  • la massima attività della vitamina D;
  • la non tossicità della mega-dose di vitamina D che si sta assumendo. Inversamente, un valore del paratormone attestato verso la soglia massima del range di normalità evidenzierebbe una carenza significativa di D, la quale condurrebbe alla sottrazione di calcio dal tessuto osseo (piuttosto che dal cibo che passa nel livello enterico, per deficit di D) per garantire la concentrazione del calcio nel circolo sanguigno.

Una volta calibrata la dose ottimale di vitamina D, variabile da soggetto a soggetto, occorre verificare con controlli periodici a lungo termine che i valori siano ancora nella norma, escludendo così il rischio di intossicazione vitaminica con la eventuale riduzione della quantità giornaliera.

Secondo i dati forniti dal dott. Cicero Coimbra, il 95% dei soggetti affetti da S.M. e curati con megadosi di D preservano la patologia in perpetua remissione mentre solamente il 5%, pur avendo un miglioramento, non ottengono la remissione totale.

Per escludere eventuali effetti collaterali, all’assunzione di megadosi di D sono da associare sia un’alimentazione priva di latte e derivati sia una copiosa idratazione. Tutte le patologie autoimmuni (S.I. contro il proprio corpo) sono prodotte da un tipo di reazione aberrante che passa sotto il nome di TH17. Secondo quanto sostenuto da Coimbra, la vitamina D è la sola sostanza capace di bloccare questa reazione, senza danneggiare le favorevoli risposte del S.I.

Il blocco delle patologie autoimmuni si deve a due determinanti elementi:

  • il blocco della reazione TH17 (aberrante, non fisiologica, anormale);
  • il forte incremento dei linfociti T, modulatori del S.I..
    Naturalmente, le alterazioni oltre l’anno dall’inizio del trattamento non sono risanate ma arrestate mentre si attua una guarigione completa per quelle di nuova formazione ossia entro l’anno dall’inizio delle assunzioni di megadosi di vit.D.

Nel novero delle malattie autoimmuni, oltre all’artrite reumatoide, all’arterite di Horton, alla spondilo artrite, alle sindromi di Sjogren e di Behçet, alla Sclerosi Multipla, al Diabete Mellìto insulino dipendente (tipo 1), al morbo di Crohn, alle Vasculiti, al morbo di Addison, alla Psoriasi, al Lupus Eritematoso Sistemico, alla Sclerodermia, alla Tiroide di Hashimoto, al Pemfigoide bolloso, alla Dermatomiosite, all’Uveite Facogenica, alla Polimiosite, alle altre Connettiviti, alla Sindrome di Anticorpi Antifosfolipidi può essere ascritta anche la recidività degli aborti nel primo mese di gestazione, dato che il S.I. si oppone alla installazione embrionale per carenza di vitamina D e per una ridotta opposizione ai contraccolpi organici immunomodulatori della vitamina stessa.

La Pre-Eclampsia, un tipico stato di elevazione dei valori pressori, inerente alle donne nel III° mese di gestazione, che può associarsi a gonfiore (edema) e fastidi renali (troppe proteine nelle urine), la quale, se non trattata (5% circa di tutte le gravidanze), sfocia nell’Eclampsia, con attacchi convulsivi, che può rappresentare un serio rischio per l’incolumità sia della madre sia del nascituro, al punto che sia conveniente per l’ostetrico di turno praticare il cesareo anticipando il parto, può essere evitata con dosi fisiologiche da 10000 IU/die.
Dato che la terapia con megadosi di vitamina D accresce il numero dei linfociti immunoregolatori, tanto maggiori saranno le sue dosi quanto superiore risulterà l’azione riducente dell’attività autoimmune.

Le supplementazioni di D è preferibile farle giornalmente e non con boli, per evitare sbalzi vitaminici nella concentrazione ematica e una dose da 10000 UI/die risulta fisiologica, dato che è la quantità che la nostra pelle potrebbe fabbricare in 15-20 minuti di esposizione all’irraggiamento solare, senza alcuna protezione solare, in maglietta a maniche corte e calzoncini, se si è giovani e di carnagione chiara.

Si può addirittura supporre che la vitamina D eserciti una benevola influenza sulla flora enterica, riducendo i microrganismi patogeni. Diversamente, una carenza di questa vitamina potrebbe modificare il prezioso equilibrio della flora intestinale, in virtù del fatto che ogni cellula reagisce naturalmente alla efficacia della D.

La produzione di D attraverso la cute o il cibo e la supplementazione di essa sono tutte forme di D non attiva ossia colecalciferolo. Come già detto il colecalciferolo necessita di due processi di idrossilasi per essere trasformato prima in calcidiolo e successivamente in calcitriolo o 1,25 diidrossi D3, ch’è la forma attiva di vitamina D.

Queste idrossilasi sono tuttavia subordinate (indirettamente) alla presenza della riboflavina (vitamina B2 ). Infatti, durante l’idrossilazione della D, gli enzimi subiscono un processo di ossidazione. Per idrossilare un’altra molecola, occorre ridurla (processo di riduzione) e ciò necessita della vitamina B2.

Nei soggetti con insufficienza renale, occorre essere prudenti nella somministrazione di megadosi di vitamina D per scongiurare il rischio di un’assimilazione massiccia di calcio sia dall’endoscheletro sia per via enterica, che poi i reni non sarebbero in grado di eliminare (in questo caso, è buona regola essere monitorati da medici Ortomolecolari, come, per es., lo stesso Coimbra o dal personale medico da lui stesso formato, quali per es., i nostri due valorosi medici italiani Paolo Giordo e Augusto Pellegrini, che in Brasile hanno appreso il protocollo del dottor Coimbra).

Nella patologia del Lupus Eritematoso Sistemico è necessario bloccare la malattia, prima che i reni vengano “assaliti” dal S.I. stesso con grave danno a loro carico.
Tuttavia, nel caso in cui le lesioni del livello renale siano già esistenti sarà allora conveniente, cominciare con supplementi di vitamina D inferiori, in modo da verificare che le dosi assunte non abbiano deleterie ripercussioni sul soggetto da risanare: occorre, infatti, esser certi che i reni siano in grado di eliminare il calcio in esubero nel flusso ematico.

I pazienti affetti da Ipertiroidismo, i quali non si attengano a specifica terapia (ossia non assumano quei farmaci o seguano quei determinati trattamenti che tengano bilanciati i valori tiroidei), stiano molto attenti alle intossicazioni da vitamina D, divenendo ad essa molto sensibili (l’ormone tiroideo promuove l’attivazione della vitamina D nel depletare il calcio dalle ossa).
Particolare cautela, dunque, in presenza d’Ipertiroidismo non curato, non tenuto sotto sorveglianza, per via proprio, in tale circostanza, di una più marcata sensibilità alla vitamina D. Più recentemente, inoltre, è stato dimostrato come i pazienti affetti dalla tiroidite di Hashimoto, una tiroidite ad eziologia autoimminitaria, presentino bassi livelli ematici di idrossivitamina D 25(OH)D.

Note:

Il range di variazione del Paratormone può cambiare a seconda del laboratorio di analisi:

  • 4-58 pg/ml (in questo caso il PTH deve stare tra 4 e 10);
  • 12-65 pg/ml (in questo caso deve stare tra 12 e 20).

Mai stare sotto il range del valore minimo di normalità, altrimenti la vitamina D diviene tossica.

I parametri per la D sostengono quanto segue:

  • < 10 ng/ml la vitamina D = carenza;
  • < 20 ng/ml = insufficienza;
  • > 30 ng/ml e fino a 100 ng/ml = normalità.

La soglia di tossicità di 100 ng/ml, secondo i principali competenti di risonanza mondiale, non è corretta e consigliano valori di vitamina D molto più alti e addirittura in situazioni specifiche di patologie autoimmuni, promuovono i valori della 25-OH-D tranquillamente oltre i 160 ng/ml, senza alcuna tossicità per il paziente.


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