- In uno studio osservazionale di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti ipovitaminosici D (<20 ng/mL) è risultata del 31,86% negli asintomatici e del 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva (11)
- In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici, la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva, è stata del 2% (1/50) se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% (13/26) nei pazienti non trattati (12).
- Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli circolanti di 25OHD (13)
- In 77 soggetti anziani ospedalizzati per COVID-19, la probabilità di sopravvivenza alla malattia, stimata con la curva di Kaplan–Meier, è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente alla dose di 50.000 UI al mese, oppure di 80.000-100.000 UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80.000 UI al momento della diagnosi. (14)
- Nei pazienti PCR-positivi per SARS-CoV-2, i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti PCR-negativi (dato poi confermato da altri lavori in termini di maggiore velocità di clearance virale e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D) (15).
- In una sperimentazione clinica su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% (10/16) dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo (60.000 UI/die per 7 giorni), contro il 20,8% (5/24) dei pazienti del gruppo di controllo.
Nei pazienti trattati è stata inoltre riscontrata una riduzione significativa dei livelli plasmatici di fibrinogeno (16)
- Anche se sono necessari ulteriori studi controllati, la vitamina D sembra più efficace contro il COVID-19 (sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione) se somministrata con obiettivi di prevenzione (17), soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati.
- Il target plasmatico minimo ottimale del 25(OH)D da raggiungere in ambito PREVENTIVO sarebbe di 40 ng/mL (18), per ottenere il quale occorre somministrare elevate dosi di colecalciferolo, anche in relazione ai livelli basali del paziente, e fino a 4000 UI/die (19)
- In ambito TERAPEUTICO, gli studi randomizzati indicano l’utilità di un’unica somministrazione in bolo di 80.000 UI di colecalciferolo (N° 4, Annweiler G et al.), oppure di calcifediolo (0,532 mg il 1° giorno, 0,266 mg il 3°, il 7° giorno e poi una volta alla settimana) (N° 2, Castillo ME et al.), oppure ancora di 60000 IU di colecalciferolo per 7 giorni, con l’obiettivo di raggiungere 50 ng/mL di 25 (OH)D (N° 6, Rastogi A et al.).
ne è seguito un vivace dibattito scientifico, con qualche riserva espressa dal NICE, ma con il sostegno della Royal Society of London che la definisce “…seems nothing to lose and potentially much to gain” (niente da perdere e potenzialmente molto da guadagnare)
- Con l’attivazione di una consensus conference e/o di uno studio clinico randomizzato e controllato, promosso e supportato dallo Stato, sull’efficacia terapeutica della Vitamina D, a pazienti sintomatici o oligosintomatici, secondo uno dei seguenti schemi:
-
- Colecalciferolo per via orale 60.000 UI/die per 7 giorni consecutivi
- Colecalciferolo in monosomministrazione orale 80.000 (nei pazienti anziani)
- Calcifediolo 532 mg (106 gocce) nel giorno 1 e 0,266 mg (53 gocce) nei giorni 3
- e poi in monosomministrazione settimanale.
-
- Con la somministrazione preventiva di Colecalciferolo orale (fino a 4000 UI/die) a soggetti a rischio di contagio (anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, congiunti di pazienti infetti, soggetti in comunità chiuse); segnaliamo che in questo ambito l’utilizzo della vitamina D che, anche ad alte dosi, non presenta sostanziali effetti collaterali (20), è comunque utile per correggere una situazione di specifica carenza generale della popolazione, soprattutto nel periodo invernale, indipendentemente dalla infezione da SARS-CoV-2.
Giancarlo Isaia Professore di Geriatria, Università di Torino e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino
Fonte originale dell’articolo a cura di Claudio Tozzi su GeoPaleo Diet
Riferimenti bibliografici
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- Murai IH et al., https://doi.org/10.1101/2020.11.16.20232397
Fonte dello studio
Un basso livello di vitamina D è associato agli esiti della malattia da coronavirus 2019: una revisione sistematica e una meta-analisi
Punti salienti
- I pazienti positivi al COVID-19 hanno un’incidenza maggiore di bassi livelli di vitamina D rispetto ai pazienti negativi al COVID-19
- I pazienti positivi al COVID-19 hanno livelli di vitamina D inferiori rispetto ai pazienti negativi al COVID-19
- L’integrazione di vitamina D può essere utile per la prevenzione e il trattamento di COVID-19
- La prova formale di un effetto deve essere determinata mediante studi randomizzati e controllati.
Astratto
Sfondo
Studi osservazionali suggeriscono che il rischio e la prognosi clinica della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) sono correlati a un basso livello di vitamina D; tuttavia, i dati non sono coerenti.
Obiettivi
Abbiamo condotto una revisione sistematica e una meta-analisi per valutare l’associazione tra un basso stato di vitamina D e COVID-19.
Metodi
È stata condotta una ricerca sistematica con PubMed, Embase e Cochrane Library dall’inizio del database al 25 settembre 2020. La differenza media standardizzata (SMD) o il rapporto di probabilità (OR) e il corrispondente intervallo di confidenza al 95% (CI) sono stati applicati per stimare il pool risultati. Per la meta-analisi sono stati utilizzati modelli a effetti casuali o fissi basati sull’eterogeneità. Per valutare i bias di pubblicazione sono stati utilizzati grafici a imbuto e test di regressione di Egger.
Risultati
Per la meta-analisi sono stati selezionati un totale di dieci articoli con 361.934 partecipanti. Nel complesso, l’OR aggregato nel modello a effetti fissi ha mostrato che la carenza o l’insufficienza di vitamina D era associata a un aumento del rischio di COVID-19 (OR = 1,43, IC 95% 1,00-2,05). Inoltre, gli individui positivi al COVID-19 avevano livelli di vitamina D più bassi rispetto agli individui negativi al COVID-19 (SMD = -0,37, IC 95% = da -0,52 a -0,21). Esisteva una significativa eterogeneità in entrambi gli endpoint. I grafici a imbuto e i test di regressione di Egger hanno rivelato significativi bias di pubblicazione.
Conclusioni
Questa revisione sistematica e meta-analisi hanno indicato che un basso livello di vitamina D potrebbe essere associato a un aumento del rischio di infezione da COVID-19. Sono necessari ulteriori studi per valutare l’impatto dell’integrazione di vitamina D sulla gravità clinica e sulla prognosi nei pazienti con COVID-19.
Registrazione della revisione sistematica
Numero di registrazione PROSPERO: CRD42020216740.
Liberatoria (Disclaimer)
Dichiarazione di non responsabilità: questo articolo non è destinato a fornire consulenza medica, diagnosi o trattamento.
Vitamineral non si assume responsabilità per la scelta degli integratori proposti eventualmente nell’articolo.