Gli Omega 3, allungano la vita e diminuiscono i ricoveri

tratto da un post di The Cancer Magazine

Il pesce azzurro (acciuga, sarda, sgombro e aringa) allunga la vita e diminuisce i ricoveri in ospedale?
In un certo senso si, perchè ricco di acidi grassi polinsaturi (PUFA), meglio noti come Omega3.
Alla dose di un grammo al di (contenuti in una capsula), gli Omega3 allungano la vita dei cardiopatici cronici e diminuiscono i ricoveri ospedalieri.
E’ questa la conclusione di un importante studio italiano presentato dal gruppo GISSI (costituito dall’Associazione Nazionale dei Medici Cardiologi Ospedalieri, ANMCO, dall’Istituto Mario Negri, dal Consorzio Mario Negri Sud) al congresso Europeo di Cardiologia tenutosi a Monaco (30 agosto-3 settembre 2008).

L’importanza della ricerca è stata sottolineata da un editoriale dalla prestigiosa rivista scientifica ‘The Lancet’.

Lo studio, durato 4 anni, era articolato in due trial indipendenti, ma sviluppati insieme grazie ad un disegno metodologicamente originale, che aveva come obiettivo la valutazione di due nuovi trattamenti per lo scompenso cardiaco: gli acidi grassi polinsaturi (noti con il loro acronimo n-3 PUFA) e la più recente delle statine, la rosuvastatina (nomi commerciali: Crestor, Provisacor e Simestat).
Le statine sono i farmaci in grado di inibire la HMG-CoA reduttasi, un enzima chiave nella biosintesi del colesterolo.
Lo studio italiano GISSI-HF (Heart Failure) era stato programmato con il fine di valutare l’effetto degli acidi grassi omega3 e delle statine in pazienti con scompenso cardiaco sintomatico.

Entrambi gli studi delle GISSI-HF sono stati sponsorizzati dalla SPA Società Prodotti Antibiotici, dalla Sigma-Tau, da Pfizer Italia e da Astrazeneca.

L’insufficienza cardiaca è una sindrome complessa originante da danni cardiaci di vario tipo. Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a notevoli progressi nella prevenzione e nel trattamento delle patologie cardiovascolari, come dimostrato da una marcata riduzione della mortalità da infarto miocardico acuto e da ictus negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali. Comunque, nonostante questi progressi, l’incidenza e la prevalenza dell’insufficienza cardiaca sono in aumento.
Per tale ragione, questa condizione clinica rappresenta un importante problema che ha un significativo impatto sul sistema sanitario, essendo una delle più comuni diagnosi di ammissione negli ospedali. Il costo diretto dell’insufficienza cardiaca all’ European National Health Services rappresenta quasi l’1.5-2%
di tutte le spese. In una popolazione che sta invecchiando si può facilmente prevedere un continuo aumento del carico dell’insufficienza cardiaca sulla società e sul sistema sanitario.
L’insufficienza cardiaca è associata a mortalità e morbidità significative (per morbilità si intende ‘intensità dell’impatto di una malattia sulla popolazione)
L’indice di mortalità a cinque anni è stato stimato intorno al 50%; tuttavia i pazienti con una insufficienza cardiaca grave potrebbero avere un indice di mortalità che si avvicina al 50% in un anno. [1]

Lo Studio GISSI-HF (Hearth Failure)

Al primo studio GISSI-HF [2] hanno partecipato 357 centri di cardiologia italiani, e circa 7 mila pazienti con malattie cardiache croniche. 3494 pazienti hanno ricevuto PUFA (acidi grassi polinsaturi omega3) una volta al giorno e 3481 il placebo.
Per placebo si intende una sostanza che viene somministrata al paziente come farmaco, ma che in realtà è priva di principi attivi. Nella sperimentazione clinica, un nuovo farmaco si giudica efficace solo se dà risultati significativamente diversi da un placebo.

Gli end-point primari (ovvero “dimostrabili” da esiti) erano morte da cause vascolari, infarto non fatale, stroke non fatale.
End-point secondari (rappresentano cioè degli indicatori) erano la mortalità cardiovascolare, la morte cardiaca improvvisa e i ricoveri per cause cardiovascolari.
L’endpoint in statistica medica rappresenta la tipologia di misurazione dell’esito in uno studio clinico.

Dopo 4 anni, i decessi si verificarono nel 27% (955 pazienti) del gruppo omega 3 e nel 29% (1014 pazienti) del gruppo placebo.
Inoltre nel gruppo PUFA sono stati ricoverati in ospedale per cause cardiovascolari (infarto e stroke) meno pazienti rispetto al gruppo placebo: 1981 (57%) contro 2053 (59%).
Gli omega 3 ridussero, in maniera statisticamente significativa anche i decessi da cause cardiovascolari (20,4% vs 22,0%), e i ricoveri per cause cardiovascolari (46,8% vs 48,5%), ma non la morte cardiaca improvvisa (8,8% vs 9,3%).
Non c’era differenza statisticamente significativa per quanto riguarda l’infarto e lo stroke (ictus).
In termini assoluti, 56 pazienti dovevano essere trattati con PUFA per poco meno di quattro anni per evitare un decesso, o 44 pazienti al fine di evitare un evento o di morte o per l’ammissione in ospedale per cause cardiovascolari.

Gli autori spiegano che il meccanismo di azione degli omega3 non è chiaro (forse una riduzione della produzione delle citochine immunitarie o una riduzione dell’aggregazione piastrinica o della pressione arteriosa o di un miglioramento della funzione ventricolare).

Il secondo studio presentato sempre dal GISSI-HF [3], ha valutato il ruolo della rosuvastatina nei pazienti con insufficienza cardiaca: 2285 pazienti hanno ricevuto rosuvastatina 10 mg al giorno, 2289 il placebo. Entrambi i gruppi sono stati seguiti per quattro anni.
Nel gruppo statine sono deceduti 657 pazienti (29%) mentre nel gruppo placebo 644 (28%).

«Grazie all’effetto antiaritmico sui cardiomiociti (le fibre muscolari cardiache che consentono la generazione e la trasmissione dell’impulso contrattile), l’assunzione per un periodo di 3,5 anni di farmaci a base di PUFA n-3 con dose indicata di EPA+DHA migliora in modo significativo la prognosi dei pazienti reduci da infarto – afferma il professor Stefano Taddei, Centro regionale di riferimento per la Diagnosi e Terapia dell’Ipertensione e dell’Ipotensione arteriosa, Unità Operativa di Medicina Interna I dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana– producendo una riduzione della mortalità totale del 20%, della mortalità cardiovascolare del 30% e quasi dimezzando il numero dei casi di Morte Improvvisa (45%): è un risultato molto significativo, considerando anche che gran parte dei pazienti colpiti da Sindrome Coronarica Acuta (SCA) sono relativamente giovani».

Come sottolinea il professor Taddei, «è meglio iniziare la somministrazione dei farmaci PUFA n-3 con la dose indicata di EPA+DHA al più presto, durante il ricovero ospedaliero: sulla base dello studio VALIANT, è stato dimostrato che il momento più rischioso per la Morte Improvvisa è il mese successivo alla crisi cardiaca, per cui è raccomandabile iniziare il trattamento immediatamente dopo». [4]

Buone fonti alimentari di EPA (acido eicosapentenoico) e DHA (acido docosaesaenoico) sono rappresentate dalle carni dei pesci azzurri e in generale dalle specie che popolano acque fredde e salate (acciuga, sarda, sgombro e aringa).

Acidi Grassi Essenziali negli Alimenti


 INFORMAZIONE UTILE
Arriva la Nota 94 per i farmaci PUFA N-3, adesso rimborsati anche per la SCA (Sindrome Coronarica Acuta)

L’Agenzia italiana del farmaco ha istituito una nuova nota, la numero 94, con Determina n. 1081/2013, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 285 di giovedì 5 dicembre, per la prescrizione a carico del Ssn degli omega-3 in pazienti con sindrome coronarica acuta in atto o pregressa. La loro rimborsabilità nell’indicazione ipertrigliceridemia continua invece a essere regolata dalla Nota 13 (nota che va apposta dal medico curante sulla ricetta).

Allo stato attuale del mercato italiano, solo 3 farmaci (Esapent, Eskim, Seacor) soddisfano i requisiti quantitativi e qualitativi previsti dalla Nota 94, entrata in vigore dal 6 dicembre 2013.

Link alla Nota 94


FONTE STUDI:

COMMENTI:

Lo studio GISSI-HF, pubblicato anticipatamente dal Lancet e contemporaneamente presentato in anteprima al Congresso Europeo di Cardiologia , era molto atteso. In effetti l’esame di alcuni studi faceva ipotizzare che le statine potessero essere utili anche nello scompenso cardiaco oltre che nella cardiopatia ischemica e nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare [1].
Tuttavia nessuno di questi studi era stato appositamente disegnato per testare l’ipotesi di un’efficacia delle statine nello scompensato. L’ipotesi era però attraente e portò alla programmazione di due studi effettuati in pazienti con insufficienza cardiaca: lo studio CORONA e lo studio GISSI-HF.

Lo studio CORONA (che riguardava pazienti con scompenso di natura ischemica) è stato pubblicato nel 2007: anche in quel caso però la statina non riuscì a ridurre l’end-point primario (esiti), composto da morte da cause vascolari, infarto non fatale, stroke non fatale.

Ora lo studio GISSI-HF (in cui i pazienti con scompenso di natura ischemica rappresentavano circa il 40% della popolazione arruolata) conferma che non si hanno benefici dall’aggiunta di una statina nel paziente con insufficienza cardiaca.

Nel commento di Renato Rossi allo studio CORONA [2] era stata avanzata l’ipotesi che forse la statina non riesce più ad agire quando ormai lo scompenso si è instaurato. Di questo stesso avviso sono un editorialista che, sul Lancet, commenta i risultati del trial e gli autori dello studio.
Qualsiasi sia il motivo, l’impressione è che comunque dalle statine si stia pretendendo un po’ troppo.
Lo studio SEAS [3] ne è un chiaro esempio: in questo trial l’associazione ezetimibe/simvastatina ( nome commerciale: Inegy e Vytorin in Italia e Zetia negli USA) con il era stata testata per valutare se riusciva utile in pazienti affetti da stenosi aortica!
Le statine sono sicuramente un’ottima classe di farmaci, ma non si può pretendere che siano la “pallottola magica” per tutte le patologie cardiache.

Rimane da commentare la parte del GISSI-HF che ha riguardato gli omega 3.
In questo caso i risultati positivi sono sicuramente una piacevole sorpresa, anche se la significatività statistica è molto risicata: d’altra parte il trattamento attuale del paziente con insufficienza cardiaca è, probabilmente, arrivato al massimo delle attuali possibilità tecniche, quindi qualsiasi passo in avanti, anche se piccolo, è il benvenuto.
Infatti un editorialista sottolinea che, alla luce di questi risultati,
gli acidi omega 3 dovrebbero ora entrare a far parte della strategia terapeutica dello scompenso cardiaco


FONTE: The Cancer Magazine di admin P.M. – 17 marzo 2015


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