La luce solare: un enigma

Viviamo in un’epoca in cui l’esposizione al sole viene considerata da qualcuno una minaccia per la salute. Nel tentativo di prevenire il cancro alla pelle, i dermatologi hanno fatto un lavoro incredibile nell’incoraggiare la gente di tutte le età a utilizzare filtri e abiti protettivi e a trascorrere più tempo in zone ombreggiate.

I bambini vengono ricoperti di crema solare dalla loro prima esposizione. Eppure, in questo sforzo per proteggerci dal rischio di cancro alla pelle, ci siamo giocati la fonte primaria di salute – la vitamina D. Perché mai qualcuno potrebbe osare esporsi al sole dopo che per vent’anni si è sentito ripetere che è rischioso?

Oltre alla paura di tumore alla pelle, coloro che lottano contro l’invecchiamento ci mettono in guardia dai danni che il sole potrebbe provocare alla cute sotto forma di rughe. Così, siamo stati allontanati dal sole in nome della salute e della vanità. Capisco che molti siano confusi leggendo e sentendo parlare dei benefici della vitamina D. Molti vorrebbero fare la scelta più giusta, ma sono bloccati sulla soglia – persino troppo esitanti per uscire fuori al sole e andarsi a comprare un integratore di vitamina D!

La definizione di Unità Internazionale (Ul)

“L’Unità Internazionale (Ul) è un’unità di misura basata su uno standard accettato e sull’attività biologica di una sostanza. L’UI per la vitamina D si riferisce unicamente ad essa – ecco perché 100 Ul di vitamina D non equivalgono a 100 Ul di vitamina E. 1000 Ul di vitamina D equivalgono a 25 microgrammi (mg) di vitamina D.”

Resta il fatto che il sole è un modo fantastico per ottenere vitamina D – che è la “vitamina del sole”, dopo tutto. È anche il modo migliore per assorbirne quantità incredibili e velocemente. Dodici minuti appena di esposizione al sole del pomeriggio in estate con gambe e braccia scoperte fornirà a una donna bianca in media 3000 Ul di vitamina D; e in meno di trenta minuti si può arrivare fino a 20.000 UI. È però vero che molti dei miei pazienti mi hanno spiegato come per loro l’esposizione al sole non sia praticabile poiché vogliono consapevolmente evitare bruciature o altri danni provocati dal sole, oltre a essere preoccupati per il tumore alla pelle.

Voglio dunque aiutarvi a capire come, quando e in quali circostanze, il sole induce la produzione di vitamina D. Con queste informazioni spero che riuscirete a decidere consapevolmente in merito al modo migliore per voi di ottenerla.

Condizioni che interferiscono con l’ottenimento di una sufficiente quantità di vitamina D dal sole

Ci sono molti fattori che influenzano l’ottenimento di vitamina D dall’esposizione al sole, per questo raccomando ai miei pazienti di andare sempre sul sicuro…e di assumere integratori di vitamina D oltre a monitorare i loro livelli ematici attraverso le apposite analisi. Vi illustrerò i dettagli successivamente; ora voglio spiegarvi perché il sole è un argomento complesso.

Quella che segue è una lista di fattori che stanno tra voi e i raggi UVB che inducono la produzione di vitamina D. I primi sei riguardano l’ambiente, gli ultimi cinque riguardano voi.

La cosa importante da tenere a mente mentre leggete è che ciascuno di questi fattori contribuisce ad aumentare il rischio di carenza di vitamina D e quindi aumenta per voi il rischio di sviluppare disturbi o malattie associati a tale carenza.

    1. Latitudine
    2. Stagione dell’anno
    3. Altitudine
    4. Momento della giornata
    5. Inquinamento atmosferico
    6. Fenomeni di nuvolosità
    7. Utilizzo di creme solari
    8. Contenuto di melanina della pelle
    9. Età
    10. Peso
    11. Vestiti che coprono il corpo

Latitudine

Tutte le discussioni che riguardano la vitamina D e la carenza di essa implicano il fatto che si conosca l’impatto – sulla vitamina D stessa – della latitudine in cui avviene l’esposizione al sole e il suo effetto su certi disturbi o malattie. La latitudine può essere nord o sud, rappresenta la distanza tra un determinato luogo e l’equatore, che si trova a zero gradi di latitudine con i raggi del sole perpendicolari; quindi i raggi UV devono compiere una distanza più breve per raggiungere la superficie terrestre. La città di New York è a 40 gradi di latitudine; Flagstaff, in Arizona, a 35 gradi. In entrambe queste città il sole è molto più basso nel cielo rispetto ai luoghi più vicini all’equatore.

Quando il sole è più basso nel cielo (alle latitudini maggiori), i raggi UV hanno una distanza più lunga da percorrere per raggiungere le superficie terrestre. Inoltre devono compiere il loro viaggio attraversando una fascia di ozono e di nuvole di maggiore spessore prima di raggiungere le vostra pelle. Quando il sole è più alto nel cielo (alle latitudini minori), i raggi UV hanno una distanza minore e un percorso meno accidentato verso la terra.

Come punto di riferimento, il polo nord è a 90 gradi di latitudine nord con il sole molto basso nel cielo. Maggiore è la latitudine in cui vi trovate, meno intensi saranno i raggi UV e quindi meno indurranno in voi produzione di vitamina D.

Determinate la vostra latitudine

“Per determinare la latitudine in cui vi trovate, potete usare un GPS (Global Positioning System). Google Earth ha una funzione che mostra la latitudine dei punti individuati sulla mappa attraverso un cursore.”

È importante ricordare che se vivete al di sopra dei 35 gradi di latitudine, non è per voi possibile produrre vitamina D attraverso l’esposizione al sole da novembre fino a marzo, a prescindere dalla durata dell’esposizione. Sfortunatamente su questo non c’è nulla da fare. Se guardate una mappa del Nord America, vi accorgerete che i due terzi degli Stati Uniti e del Canada sono oltre i 35 gradi di latitudine.

Come punto di riferimento per i lettori che risiedono in Canada, la porzione di confine tra gli Stati Uniti e il Canada è soprannominato il 49° parallelo. Ogni città tra Vancouver, Columbia Britannica, e Winnipeg, Manitoba, è oltre il 49° parallelo. A est di Manitoba, la latitudine più bassa è di 43 gradi nella parte meridionale dell’Ontario e all’estremità sud della Nuova Scozia.

Il fatto che l’incidenza di molte malattie e disturbi aumenti all’aumentare della latitudine ha accelerato la ricerca sull’esposizione al sole, sulla carenza di vitamina D e sulle patologie che si possono innescare.

Anche se vivete a latitudini più basse e potete quindi ottenere vitamina D durante tutto l’anno, ci sono comunque diversi altri fattori che interferiscono con la produzione di questa sostanza, come capirete scorrendo i fattori elencati qui di seguito.

Stagione dell’anno

La stagione dell’anno influisce sull’angolazione da cui il sole arriva sulla pelle e l’angolazione influisce sulla quantità di raggi UVB che vi raggiungono. Senza raggi UVB che si posano sulla vostra pelle, non potete produrre vitamina D. Dunque, la quantità di vitamina D che deriva dal sole non sarà uguale nel corso dell’anno. Generalmente, la maggior parte delle persone con un’esposizione media al sole ha livelli di vitamina D maggiori alla fine dell’estate rispetto a quelli che ha alla fine dell’inverno.

Per voi, la stagione migliore per produrre vitamina D varia secondo la latitudine in cui vi trovate. Se vivete a Boston, che è a 42 gradi di latitudine, avrete accesso ai raggi UVB (stando anche agli altri fattori qui illustrati) da aprile a ottobre. Ma in inverno – da novembre a marzo – se vivete oltre i 35 gradi di latitudine, non avrete per nulla vitamina D dal sole. Non avrà importanza quanto a lungo resterete seduti al sole in pieno inverno; se vi trovate oltre i 35 gradi di latitudine la vostra pelle non produrrà vitamina D.

Il sole estivo non garantisce vitamina D sufficiente!

“Uno studio condotto a Boston ha rivelato che il 36% dei partecipanti, uomini e donne, presentava carenza di vitamina D alla fine dell’estate. Tra chi aveva più di 50 anni, la percentuale saliva al 42%.”

Se andate ancora più a nord, diminuisce il numero di giorni per anno in cui è possibile produrre vitamina D. Ma se anche riusciste a prendere sole a sufficienza durante l’estate e aumentare così i vostri livelli di vitamina D, immagazzinando poi questa sostanza nel grasso corporeo, resterebbe il dubbio se tali livelli siano o no sufficienti per arrivare alla fine dell’inverno mantenendo valori ottimali.

Se vivete dove gli inverni sono lunghi, è facile che vi capiti di mancare di vitamina D sempre in un determinato momento dell’anno. Alcuni chiamano questo fenomeno “l’inverno della vitamina D”. In alcune regioni della Norvegia, che si trova a 70 gradi di latitudine, parte dei lunghi inverni senza UVB coincide con la stagione della pesca al merluzzo e la gente riesce così a compensare la mancanza di vitamina D assumendo fegato di merluzzo.

Altitudine

Alle basse altitudini, le radiazioni ultraviolette del sole sono assorbite dall’atmosfera e sono quindi meno intense rispetto alle altitudini maggiori. Chi vive a basse altitudini ha meno accesso ai raggi UVB che inducono produzione di vitamina D. Quindi, chi vive in montagna è più esposto ai raggi UVB.

Momento della giornata

Le previsioni del tempo spesso riportano l’Indice UV – numero che indica il livello di radiazioni ultraviolette che dal sole arriva alla terra in uno specifico momento della giornata. Più alto è il numero, maggiore è il rischio di bruciarsi.

Gli studi hanno scoperto che la nostra capacità di produrre vitamina D dal sole aumenta con l’aumentare dell’Indice UV. In certe stagioni e latitudini, il solo momento in cui si riesce a produrre vitamina D va dalle 10 alle 14 o quando l’Indice è almeno 3. Anche se il resto della giornata appare soleggiato, sono quelle le ore in cui i raggi UVB sono sufficientemente potenti. Potete informarvi sull’Indice UV della vostra zona cercando in Internet le informazioni meteo relative.

Inquinamento atmosferico

L’inquinamento dell’aria può bloccare i raggi UVB del sole, inibendo quindi la possibilità di produrre vitamina D. Uno studio indiano ha misurato i livelli ematici di persone che vivevano in aree con elevato inquinamento atmosferico scoprendo che il 54% aveva meno vitamina D di chi risiedeva in aree dove l’inquinamento era più contenuto. Tra i bambini nelle aree inquinate, il 46% aveva carenza di vitamina D e il 12% mostrava rachitismo.

Fenomeni di nuvolosità

I raggi UVB, necessari per la produzione di vitamina D, sono dimezzati quando si verificano fenomeni di nuvolosità.

Uso di creme solari

Le creme solari e i filtri solari non permettono alla pelle di assorbire i raggi UVB (e a volte anche i raggi UVA). Più alto è il fattore di protezione, più siete protetti dai raggi solari dannosi ma anche da quelli che permettono la produzione di vitamina D. Una crema solare con fattore di protezione 8 abbatte fino al 92% la produzione di vitamina D, un fattore di protezione 15 fino al 99%. La discussione è aperta proprio sul fatto che proteggere la pelle dai raggi solari dannosi mette anche a rischio di sviluppare malattie dovute alla carenza di vitamina D.

Io suggerisco ai miei pazienti di trascorrere alcuni minuti al sole prima di applicare la crema. In questo modo la pelle riesce a produrre un po’ di vitamina D prima di essere privata dei raggi UV.

Contenuto di melanina della pelle

Ciò che più sorprende i miei pazienti è il fatto che più la pelle è scura, meno vitamina D si produce con l’esposizione al sole. Infatti, le persone scure di pelle o di colore hanno un rischio maggiore di presentare carenze proprio a causa di questa ridotta capacità. Anche la pelle di chi è già abbronzato impedisce ai raggi UVB di farci produrre vitamina D.

La melanina è un pigmento che dà colore alla pelle e assorbe i raggi UVB, inibendo la produzione di vitamina D. Chi ha la pelle scura o le persone di colore hanno bisogno di una luce solare più intensa perché possa penetrare nella pelle e indurre produzione di vitamina D – fino a dieci volte la quantità di sole necessaria alle persone di pelle chiara.

Questo andava bene quando il contenuto di melanina della pelle indicava anche il luogo dove una persona viveva. Per esempio, quando le persone di pelle scura vivevano vicine all’equatore, riuscivano ad avere luce solare sufficiente per produrre vitamina D. Le persone con la pelle chiara vivevano alle latitudini settentrionali dove c’era meno sole e maggiore nuvolosità. Ma poiché per loro bastava una minore intensità solare, riuscivano ad avere raggi UVB a sufficienza.

Nel 1975 Thomas Fitzpatrick, un medico di Harvard, sviluppò un sistema per classificare il tipo di pelle delle persone basandosi sulla carnagione e sulla risposta della pelle alla luce solare. Ci sono sei tipi di pelle, stando a questa classificazione.

Molti studi hanno dimostrato che le persone afroamericane hanno un tasso altissimo di carenza di vitamina D. Non solo è alta l’incidenza (con certi studi che indicano come tutti i partecipanti – 100% – presentino carenze), ma è anche estremamente elevato il livello di carenza.

Inoltre, ironia della sorte, le persone con pelle normale ma che passano molto tempo abbronzandosi, producono più melanina sulla pelle e quindi hanno una ridotta capacità di convertire la luce solare in vitamina D.

L’età

Anche le persone anziane sono ad alto rischio di sviluppare carenza di vitamina D. Quando invecchiamo, produciamo meno precursori di questa vitamina D sulla nostra pelle e quindi ne produciamo meno quando ci esponiamo al sole. Gli studi hanno dimostrato che le persone anziane trascorrono meno tempo al sole, sia per paura del melanoma sia perché si riduce la loro attività all’aperto. E la mancanza di esposizione al sole inibisce la produzione di vitamina D.

Le persone anziane hanno bisogno di una maggiore esposizione al sole per produrre vitamina D

“Se una persona anziana si espone al sole per un tempo uguale a una persona più giovane, l’anziano produrrà circa il 25% di vitamina D di quanta ne produce la persona più giovane.”

Peso Corporeo

Le persone in sovrappeso hanno difficoltà a produrre vitamina D a sufficienza. Questa sostanza è liposolubile, quindi le cellule adipose la assorbono rendendola meno disponibile all’uso per i tessuti e gli organi del corpo. Uno studio ha dimostrato che le persone obese hanno livelli ematici di vitamina D più bassi del 57% rispetto ai normopeso esposti agli stessi livelli di raggi UVB.

Vestiti che coprono il corpo

Saggiamente, l’umanità alle origini non indossava molti abiti. Con l’evoluzione abbiamo iniziato a coprirci ed è diminuita l’esposizione alla luce del sole. Gli abiti sono indubbiamente efficaci per proteggerci dai raggi del sole. I dermatologi e gli oncologi raccomandano anche occhiali da sole, cappelli e maglie a maniche lunghe per una protezione ancora maggiore. Inoltre, laddove l’abbigliamento è un fatto culturale, che prevede per esempio la totale copertura del corpo, si crea una vera e propria barriera tra la pelle e il sole. Per esempio, le donne e i bambini in Arabia Saudita hanno tassi elevati di rachitismo, osteomalacia e carenza di vitamina D. Siccome i loro corpi sono totalmente coperti, la pelle non viene a contatto con i raggi UVB. Le persone che vivono in aree con analoga luce solare e che non hanno l’abitudine di coprirsi così tanto, riescono a produrre vitamina D grazie ai raggi UVB e avranno dunque livelli di vitamina D significativamente più alti.

Tratto da I Poteri Curativi della Vitamina D – Di Soram Khalsa – Macro Edizioni